If you wanna be the man…you’ve got to beat the man!”, una delle frasi maggiormente riconoscibili ed iconiche della storia, coniata da quel genio di Ric Flair dopo aver svuotato il minibar del suo presunto aereo privato. Ma cosa significa, in realtà, essere “the man”? Più assolto di Kevin Nash, ecco a voi l’editoriale odierno!

Tra qualche giorno sarà tempo di Rumble, con l’inizio ufficiale della Road To Wrestlemania. Tradotto in soldoni per i duri di comprendonio, almeno in teoria questo dovrebbe essere il periodo dell’anno migliore per essere un fan del wrestling targato WWE, in quanto i due mesi e spicci che ci separano dal Grandaddy Of ‘em All dovrebbero essere costellati di ottime idee e sapienti colpi di scena.

Parlando da un punto di vista totalmente personale, la RR è un gimmick match che semplicemente adoro. Azione, colpi di scena, una storia semplice da raccontare la sempre efficace, qualche sorpresa ed infine un vincitore che, nella maggior parte dei casi, può ambire ad un ruolo di primissimo piano nell’evento più importante dell’anno. Dico nella maggior parte dei casi per due motivi: il primo è che, quando vi era la divisione dei Titoli, spesso il vincitore della Rumble era comunque relegato ad un ruolo di secondo piano a WM. Il secondo è che, come l’anno scorso, una scelta sbagliata può svilire una vittoria così importante sia per i wrestlers che per il pubblico. La Royal Rumble dunque è, a tutti gli effetti, un primo gradino per diventare The Man.

La WWE, nelle sue mille reincarnazioni, ha avuto a tutti gli effetti 5 personaggi che sarebbe corretto poter definire come The Man: Sammartino, Hogan, Austin, Rock e John Cena. In seconda battuta vi sono stati i varti Hart, Michaels, Triple H e Lesnar, che per vari spezzoni hanno portato avanti la federazione sulle proprie spalle, tuttavia non sono mai arrivati, forse per mancanza di tempo o di tempismo, ai livelli delle cinque icone sopranominate. Ma, in fin dei conti, cosa vuol dire essere “il volto della Federazione”?

Innanzitutto vuol dire essere babyface. Ed essere dalla parte dei “buoni” non vuol dire necessariamente, come per Cena o Hogan, fare sempre la cosa giusta al momento giusto: essere buono può anche significare portare il proprio io alla “n”, come per Rocky, oppure essere se stesso ribellandosi a tutto e tutti, come per Austin. Ed essere un babyface efficace, nel 2015, non è affatto semplice.

Negli anni ’80 e nei primi anni ’90 essere l’eroe era ampiamente pagante: il pubblico non aveva un accesso al “personaggio” ne tantomeno all’uomo dietro la gimmick, grazie ad un’opportuna penuria di mezzi comunicativi, dunque vestire la mantellina di semidio era qualcosa di semplice ed estremamente efficace. Anche il pubblico, non molto smaliziato o comunque composto principalmente da bambini, era più sensibile a storie con un lieto fine in cui l’eroe, messo inizialmente in difficoltà, alla fine dei conti usciva sempre trionfante. Hogan in questo contesto, con il suo look cartoonesco ed i suoi semplici messaggi di positivismo americano, riuscì ad imporsi come un’icona imprescindibile ed un eroe intangibile: esattamente ciò che il pubblico di quegli anni aveva bisogno.

Poi siamo passati ai fantastici anni ’90. I bambini degli anni ’80 oramai erano adolescenti brufolosi e questa decade è stata caratterizzata, nella cultura pop, da un riavvicinamento all’antieroe Byroniano. Il ribelle alla Willy il Principe di Bel Air, il ragazzo con problemi esistenziali, l’emarginato con grandi qualità nascoste diventano i nuovi eroi, rubando spada e mantello ad He-Man ed imbrattandoli con una bomboletta spray fluo: Hogan per restare al passo coi tempi diventa anch’egli un “antieroe”, mentre in WWE emerge in modo prepotente prima Austin, con la sua attitudine (attitude, appunto) all’essere refrattario a qualsiasi regola scritta e non, e poi The Rock, che reduce dall’insuccesso della sua precedente gimmick di Rocky Maivia (che probabilmente avrebbe avuto maggior fortuna una decade prima) ha utilizzato la sua frustrazione e la sua voglia di emergere per diventare quella calamita carismatica che è stato in WWE quasi 20 anni fa e che è tutt’oggi.

Una volta spariti, per infortunio o successo, Austin e Rock, la palla è stata raccolta prima da Lesnar e poi, una volta perso anche lui, in modo convincente da John Cena. Nato come character nel periodo della Ruthless Aggression, ultimo vagito di una morente Attitude Era, Cena emerge come rapper nei primi anni 2000, epoca in cui l’essere “G” (vedasi l’esplosione musicale del r’n b e del cross over ed i programmi TV di successo, come “Pimp my ride” con Xzibit) era very very cool. Tuttavia, in corrispondenza con l’imminente avvento dell’epoca PG nel 2008, Cena cambia gradualmente attitudine, passando dall’essere l’impertinente rapper amato dalle folle all’essere un eroe PG anni ’80: con il senno di poi possiamo dire che le differenze principali, che hanno portato Cena ad essere sia molto amato che molto odiato, sono essenzialmente due. La prima è che il pubblico a cui la WWE si rivolge non è limitato come negli anni ’80 ma è molto più vasto, non fosse altro per il livello di esposizione raggiunto dal prodotto: i bambini inevitabilmente finiscono per essere catturati dall’eroismo di questo simil-supereroe, mentre invece i ragazzi più o meno giovani sono naturalmente catturati da qualcosa di più genuino e “reale”. La seconda ragione è che il livello di accessibilità al personaggio, e talvolta all’uomo, nel 2015 è pressoché totale: tramite i social ad esempio abbiamo la possibilità di sapere, in modo diretto, ciò che i nostri beniamini fanno o pensano, cosa senza dubbio meravigliosa sotto certi aspetti, ma deleterea per la figura di “supereroe” che ha Cena nel 2015, o che aveva Hogan negli anni ’80.

Cena nel 2015 si sta avvicinando a quota 40, è sulla cresta dell’onda da 10 anni ed ha, credo, anche acciacchi ed impegni che da qui a 2/3 anni potrebbero vederlo lontano dagli schermi WWE. Anche perché, diciamolo chiaro e tondo, la WWE ha più bisogno di John Cena che viceversa. Detto questo, prima del suo ipotetico arrivederci, Vince ha necessità impellente di trovare il prossimo The Man per un lento e graduale passaggio di consegne…ma cosa serve, oggi, per essere tremendamente over da face?

Il mio sentore è che, oggi, si stia cercando qualcosa di cui non vi è più necessità. L’idea di avere un unico babyface di punta, così come l’idea di avere necessariamente una figura autoritaria heel, sono retaggi talmente ciclici che, forse, sono perpetrati solo per una sorta di abitudine o resistenza al cambiamento. Bryan, ad esempio, è di gran lunga il babyface più over dai tempi di Punk post MITB: lui potrebbe essere una di quelle persone in grado di raccogliere l’eredità di Cena, ma potrebbe e dovrebbe non essere l’unico. Il pubblico del 2015, contrariamente a quello degli anni ’80, ’90 e 2000 ha un’incessante voglia di novità, forse dovuta ad un’esposizione al prodotto wrestling come mai prima d’ora non solo per i programmi televisivi, ma anche per i reality a tema, documentari di approfondimento, video passati sulla rete, iPPV, hulu, chromecast e via discorrendo. Dunque un’alternanza, forse, sarebbe la chiave per un successo duraturo per più babyface in rampa di lancio…e l’inizio potrebbe essere proprio la Rumble, domenica sera.

Roman Reigns è, forse a torto almeno per il momento, l’uomo scelto da Vince. Ed è proposto, dallo stesso CEO, in un modo talmente anacronistico da risultare a volte quasi ridicolo. Solo Austin è badass come Austin. Solo Rock può fare un promo con i Looney Tunes e farlo risultare credibile. Reigns ha sicuramente delle doti, ma l’impressione è quella che si stia ricalcando troppo su delle tavole da disegno usate ed abusate: nulla di nuovo. Nulla di fresco. Nulla che possa funzionare da qui a 10 anni.

Reigns favorito su Bryan per la Rumble? In bocca al lupo a lui. Inserire, quest’anno, DB nella Rumble e non farlo vincere è un SUICIDIO: se l’intenzione è invece quello di rendere il samoano il top heel della federazione, beh quella potrebbe essere una strada percorribile. Una cosa è certa: oggi, 23 Gennaio 2015, i fan WWE hanno già scelto il proprio “The Man”, almeno per il breve periodo.

Danilo