Abbiamo vissuto una edizione di Wrestlemania soddisfacente. Per come erano state impostate le tappe di avvicinamento all'evento e per l'aria che aleggiava, possiamo dirci soddisfatti. Dopo tutto non abbiamo avuto neanche un match insufficiente, non abbiamo avuto scelte insensate o fuori luogo. E' stata Wrestlemania, nel bene e nel male.

Se un male c'è è quel rancore che la federazione ha ancora nei confronti della WCW. Negli anni hanno "distrutto" la reputazione di tutte le grandi stelle, cercando in un modo o nell'altro di calpestare le ceneri della rivale. Mancava solo Sting, quel Sting che per 15 lunghi anni ha evitato la WWE come la peste, ma alla lunga ha deciso di accettare: per la HoF e per Wrestlemania. Il suo sguardo all'ingresso non era solo per la timida considerazione del pubblico ma anche per l'accuratezza dell'evento: oltre 76 mila persone, una scenografia enorme, una troupe di lavoro che ha fatto di tutto e di più, quattro tavoli di commento. Il suo sguardo diceva "allora è questa, questa grande Wrestlemania di cui tutti parlano". Il resto è stato un amarcord che serviva alla WWE per battere quel che rimane della WCW. Il patto era chiaro: a Sting il grande evento, a Triple H la vittoria. La stretta di mano finale diceva tutto, e anche di più.

Il motivo del contendere però non è Wrestlemania, ma il Raw successivo. Una puntata straordinaria, quasi da indy, che si è un po' ammosciata nel finale con quel 3 vs 3 che sapeva di minestra riscaldata male. Però non possiamo certo lamentarci di nulla: né di Cena e Bryan campioni, assolutamente adatti al nuovo corso e funzionali alla disputa di match stellari. Con Ziggler e Ambrose sono stati previsti due match a sensazione, con tanto di ritorno d'impatto di Sheamus. Nulla da dire, nulla da obiettare. Ma…..

Posa e Franchini hanno fatto notare il pessimo comportamento del pubblico nella terza ora. Loro, a due passi dal ring e pure dalla furia di Lesnar, hanno sentito e vissuto tutto quello che è successo. E nel portare sui social il loro disappunto hanno sia torto che ragione.

Un qualsiasi spettatore, proprio perché pagante, ha il diritto di contestare ciò che non gli piace. Proprio perché paga ha il diritto di far capire cosa va e non va nel prodotto. Contestare, fischiare situazioni o wrestler è una cosa normale che è sempre avvenuta e non è una moda di oggi. Se il pubblico non avesse beccato sonoramente Rocky Maivia nel 1997, forse oggi non avremmo The Rock e lo stesso si sarebbe perso nell'anonimato come un Gillberg qualunque. Abbiamo visto col tempo quanti talenti sono stati sprecati dalla WWE proprio per una cattiva gestione. Questo è quello che sta passando Reigns oggi, seppur con le differenze del caso in quanto a talento e periodo storico. Reigns non paga l'inesperienza o la mancanza di qualità, ma la gestione della federazione. Paga questo dover essere accettato per forza perché qualcuno ha deciso così. Sbaglia chi dice che il pubblico non può scegliere i propri campioni perché questo, nell'era dei mass media, è sempre successo. Non siamo più negli anni '80 quando Hogan venne tenuto a forza come campione per quattro lunghissimi anni nonostante venisse fischiato in quasi tutti gli house show o gli spettacoli televisivi (rigorosamente registrati e editati). Oggi il pubblico apprezza o disprezza e dà il proprio parere, dando alla WWE la sensazione di volare o di cadere.

Però il pubblico sbaglia la contestazione. Sbaglia a urlare frasi a caso, nomi a caso. Sbaglia ad insultare, fare commenti sessisti. Sbaglia a partecipare ad uno show giù sapendo di voler fischiare o meno un atleta, come se fosse un gioco da f are al parchetto con gli amici. Ci si deve mettere in testa che siamo di fronte ad uno spettacolo, ad un racconto. Se non piace, fischi. Se continua a non piacere stai zitto. Una arena ammutolita può far peggio che di una marea di fischi. E peggiò può fare un pubblico che se ne va prima del tempo, o chiede il rimborso. C'è modo e modo di criticare, e trollare o insultare non è certo quello migliore. Basterebbe spegnere la tv, non comprare i biglietti per gli show, non abbonarsi al network né comprare le maglie dei wrestler. Perché chiaramente, se la WWE è rimasta ad una visione vecchia del business, il pubblico fa intendere di non aver prodotto alcuna evoluzione.

Giornalista professionista ed esperto di comunicazione, dal dicembre del 2006 è redattore di Zona Wrestling. Negli anni è stato autore di rubriche di successo come il Pick The Speak, Wrestling Superstars, The Corey Side, Giro d'Italia tra le fed italiane, Uno sguardo in Italia, Coppa dei Campioni, Indy City Beatdown e tante altre. Il primo giornalista in Italia ad aver parlato diffusamente di TNA ed AEW su un sito italiano di wrestling.