Questo spazio qualche settimana fa si è acceso sul wrestling italiano, con una discussione sul pensiero generale che anima molti tifosi nostrani. Un pensiero che mi va di sviscerare ancora un po' per capire da che parte sta volgendo il wrestling e su come vada visto il wrestling mondiale, alla luce delle ultime evoluzioni.

Qual è la differenza tra un wrestler professionista e un dilettante? Credo sia importante capirlo dato che il pensiero a cui faccio riferimento vuole gli atleti italiani come dilettanti al cospetto delle peggiori promotion americane popolate di "professionisti". Perché? Per la mancanza, sembra, di allenatori competenti in grado di formare professionisti.

Credo che come pensiero, questo sia largamente superficiale e volutamente ottuso. Soprattutto se il metro di paragone rimane sempre la WWE, cosa che fa piuttosto ridere vista l'inesistenza a Stamford di buoni trainer: non lo è mai stato Bill Demott, così come non lo sono stati tutti gli altri che l'hanno preceduto (ma potrà esserlo Brian Kendrick che proviene da una scuola ben diversa). Quel che di buono ha la WWE sono le strutture, il Performance Center è qualcosa di unico al mondo dove gli atleti possono allenarsi in santa pace e costantemente. Una cosa che agli europei non è concessa, e pure al 90% degli atleti americani, messicani, giapponesi e quant'altro. Allora a tutti gli altri non rimane che lottare spesso, sfidare atleti sempre diversi, imparare da ciascuno e compiere viaggi importanti nei dojo delle maggiori federazioni. In questo gli italiani non difettano affatto, ed anzi sono tra i più apprezzati.

Cosa manca agli italiani? Certamente la possibilità di rendere il wrestling un lavoro. In Inghilterra possiamo trovare circa 70 eventi al mese, dove i wrestler lottano almeno tre sere a settimana e talvolta anche due volte nella stessa serata ma in federazioni diverse. La differenza non la fa il wrestler, ma il pubblico: se nessuno andasse a vedere questi show, anche le fed britanniche si ridurrebbero e il business crollerebbe. Per questo dico: l'unico modo per far crescere il panorama nostrano è quello di partecipare agli show, scatenando una reazione a catena dove più si lotta, più si migliora, più possibilità c'è di arrivare a grandi livelli. Avere uno o due show al mese non aiuta nessuno, specie se vi presenziano 40/50 persone: può piacere o non piacere una federazione. Se qualcosa vi piace e avete le possibilità economiche, andate a vederla. Se rimanete a casa, allora abbiate almeno la bontà di non lamentarvi del fatto che in Italia vi siano pochi show o atleti non all'altezza (ma quelli ci sono ovunque).

Qual è la differenza tra un atleta professionista e un dilettante? Non di certo l'aver pochi o "impreparati" allenatori. Oppure creare pochi show. Credo che la differenza venga dalla qualità: un Ospreay (foto) è un professionista in grado di sfornare ripetutamente grandissimi match e quello con Havoc di Chapter 17 è stato fenomenale. Uno come Darren Young è un dilettante, discreto e poco più, poco in grado di far salire il proprio livello. La qualità è importante perché determina la riuscita di uno show: perciò se ad un evento italiano trovate match di alto livello, che vi coinvolgono e vi sorprendono, voler designare gli atleti visti come "dilettanti" è pura cattiveria. Hanno le basi? Sì. Sanno compiere azioni spettacolari? Sì. Sanno raccontare una storia? Sì. La qualità è tutto e non basta certamente il nome "WWE" o "TNA" per rendere professionista chicchessia.

I confronti calcistici dello scorso pezzo lasciano il tempo che trovano e di certo non designano chi possa essere professionista e chi no. Il fatto che la WWE venga guardata in tutto il mondo non significa che sia migliore della NJPW o della Progress o della AAA: semplicemente sfrutta la maggiore esposizione mediatica americana e la maggiore ricerca dell'intrattenimento mondiale. Sulla qualità invece tentenniamo: negli ultimi quattro anni sono stati fatti passi in avanti con l'aggiunta di Punk, Bryan, Rollins, Ambrose, Steen, Zayn, Cesaro che hanno alzato verso l'alto il livello generale di determinati show. Ma per anni – soprattutto tra il 1998 e il 2008 – la WWE ha avuto nel roster alcuni atleti imbarazzanti, con una qualità media salvata solo dalle storyline. Però abbiamo sempre parlato di "professionismo" come se tale parola dovesse designarla l'appartenenza ad una azienda piuttosto che ad un'altra.

La qualità è importante, il motore del wrestling. Se ad oggi impazzite per la Pro Wrestling Guerrilla o la Ring Of Honor non è perché qualcuno vomita nel cappello di JBL o qualcun altro ha crisi di identità e turna ad ogni piè sospinto. Vi piace perché quello che vedete è spettacolo di azioni ben fatte, di pubblico che supporta e di storie ben raccontate. La qualità è importante e segna la differenza tra dilettantismo e professionismo: e quello che vedete in Italia è tutto fuorché dilettantismo. Per averne una riprova andate a vedervi gli show prossimi delle fed italiane, come quello della ICW  a None (Torino) il 9 maggio o quello che vede la collaborazione tra ASCA e WrestlingStore e Michele Posa il 20 giugno a Milano. Fate lo sforzo di esser presenti, di guardare e divertirvi. Poi potrete giudicare, capire, e fare differenze: questo è l'unico modo.

Giornalista professionista ed esperto di comunicazione, dal dicembre del 2006 è redattore di Zona Wrestling. Negli anni è stato autore di rubriche di successo come il Pick The Speak, Wrestling Superstars, The Corey Side, Giro d'Italia tra le fed italiane, Uno sguardo in Italia, Coppa dei Campioni, Indy City Beatdown e tante altre. Il primo giornalista in Italia ad aver parlato diffusamente di TNA ed AEW su un sito italiano di wrestling.