13 11 2005 – 04 03 2018. Numeri, date fredde e insipide di una Domenica maledetta. Giorni che ti colpiscono senza preavviso e ti lasciano lì, inerme. Magari il Sabato sera sei in una camera d’albergo, concentrato sulla prestazione del giorno dopo. Hai salutato già compagni e amici, ora stai pensando al futuro prima di addormentarti. Ora quanti si sono trovati, si troveranno o si trovano ora in questa situazione? Qualcuno magari starà pensando che la vita gli abbia dato la possibilità di uscire dall’inferno, una seconda chance di vivere, se sei di quelli che ne hanno avuto bisogno. Ora pensi che fai anche da mentore, “capitano” di una schiera di nuove leve. Un altro starà pensando alla sua vita perfetta da capitano di una gloriosa squadra di Serie A, fiero di attendere il Lunedì per firmare quel rinnovo di contratto che gli permetterà di chiudere la carriera nel modo in cui ha sempre sognato. Nessuno in quella stanza, sta pensando però, che il bacio alla moglie o l’abbraccio alle figlie del giorno prima sia stato l’ultimo della propria vita.

Davide Astori col wrestling c’entra poco e nulla, forse, al massimo avrà visto qualche show di sfuggita in TV. Oppure era forse un appassionato, chissà che qualche volta con qualche compagno di squadra non si siano anche scambiati delle opinioni sullo sport-Entertainment. Nemmeno Eduardo Gory Guerrero Llanes col Calcio, soprattutto quello italiano, forse c’entra molto.

Nessuno sa però se Davide quel 13 Novembre 2005 quando aveva 18 anni seguisse il wrestling, chi lo sa se non fu anche lui partecipe di quella maledetta Domenica. Io me la ricordo quella maledetta Domenica, avevo 15 anni e non mi vergogno che a quell’età stavo appena scoprendo il wrestling “smart”. In quel momento si è combattuti in una guerra interiore, non vuoi veramente credere che quello che vedi ogni settimana non è tutto reale, ma viene tutto programmato a tavolino.

Quel giorno, anzi, quella maledetta Domenica pomeriggio la ricordo come se fosse ieri, mio padre che apriva il televideo per controllare la schedina e quella notizia, lì, fredda, cruda che ti viene sbattuta in faccia; “Eddy Guerrero é stato trovato morto nella sua stanza d’albergo a Minneapolis.” Alla fine non è un parente o un amico, eppure ti lascia il segno, ti chiedi cosa siamo noi davanti alla realtà della vita. Si dice che dalla vita devi imparare a rialzarti quando ti colpisce duro, ma quando ti colpisce nel momento in cui le tue difese sono al minimo nel sonno o mentre sei appena sveglio con uno spazzolino in mano rialzarti sarà molte volte impossibile. Una delle immagini che più ricordo di quell’evento fu John Bradshaw Layfield piangere al ricordo di Eddie, ma come proprio lui il suo acerrimo nemico? Solo dopo scoprirò che erano grandi amici, che la faida era tutto un “work”. E’ se anche questa notizia su Eddie fosse un “work”? Magari sarà vivo, è tutta una trama studiata a tavolino dalla WWE?

Ecco, nella follia della più misteriosa certezza che l’umanità conosca, ti porta a pensare quello che molti di noi abbiamo pensato (o sperato) quel pomeriggio del 13 Novembre 2005, che magari era tutto un “work”. Inconsciamente non si voleva accettare quello che si è appreso. Avere la convinzione che la serenità che li ha avvolti, venga spezzata dai baci di Vickie e Francesca e dagli abbracci di Shaul, Sherylin e Vittoria. Eddie e Davide non avevano niente in comune, apparentemente. Vita, per lunghi tratti, spericolata e spesso alla deriva il primo. Calciatore e professionista esemplare il secondo. Eppure i due hanno avuto un destino comune. Entrambi erano in viaggio per il loro lavoro, il loro sport, quella professione per cui avrebbero davvero dato tutto quello che potevano dare. La crudeltà di morire da soli in una stanza d’albergo e quello che fa più male. A quel punto non importa, se l’anima abbandona il corpo su un freddo pavimento o avvolto in un piumone, la freddezza della solitudine è quella che farà più male a chi resta.

Forse avrebbero voluto così, che l’ultima immagine da lasciare ai proprio cari fosse una spensieratezza inscalfibile dalla vita stessa, in quei giorni, precedenti a quella maledetta Domenica. Ma forse il pensiero più straziante, appunto, è di un ultimo saluto, un ultimo abbraccio, un ultimo sguardo che non ci sarà mai. La sera prima Davide scherzava col portiere della propria squadra per cui era fiero capitano, mentre Eddie probabilmente continuava a dare qualche consiglio al nipote Chavo su come crescere e affrontare il loro amato business negli anni che verranno. Non sospettavano che nella notte il proprio cuore li avrebbe tirato un brutto scherzo. Magari Eddie poteva aspettarselo, lui quel cuore lo aveva preservato poco negli anni precedenti mentre Davide lo curava, eppure ha ceduto ad entrambi nella notte di una maledetta Domenica. Queste morti ti segnano, quasi sei lì che vuoi gettare la spugna, che senso ha vivere sotto certi canoni? Si ha la stessa reazione quando succedono ben altre tragedie, che quasi giornalmente purtroppo sconvolgono il nostro mondo. Ma la vita è questa bisogna andare avanti, se c’è un senso da trovare e che forse queste cose accadono per ricordarci che non bisogna mai essere superficiali nei rapporti umani, non bisogna lasciare mai nulla in sospeso con chi si ama o comunque occupa uno spazio importante per noi.

Quando un sorriso come quello di Davide o gli occhi pieni di vita di Eddie si spengono, lasciano un vuoto che pochi o nessuno sapranno colmare. Il ricordo delle loro gesta è l’eredità, stupenda, che hanno deciso di lasciare a tutti noi. Le lacrime di Triple H, JBL e tanti altri di quel giorno vengono sostituite, oggi, da quelle di ogni tifoso e giocatore di calcio per una vita, a testimonianza che chi è andato via ha lasciato qualcosa d’importante quel giorno. Una maledetta Domenica, tante maledette Domeniche. Molti campioni, di tanti altri SPORT, sono volati via in una Maledetta Domenica che ricorderemo, ahimè, per sempre. Vivi ogni secondo, non sappiamo quando ci sarà il Pin definitivo o il fischio finale che darà la vittoria alla morte.