La notizia della morte di Warrior, nella sua enormità, è stata gestita in modo davvero di classe dalla WWE. Uno dei modi in cui la vita di Warrior è stata “tributata” è stato questo piccolo documentario andato in onda sul WWE Network, con riprese ed interviste appena antecedenti alla sua triste dipartita. Per voi, la review di questo surreale pezzo di storia del wrestling.

Intro: Il documentario si apre con un primo piano di Warrior, che ci spiega meglio cosa sia stata questa gimmick per lui. Molti lo hanno tacciato, nel corso degli anni, di aver preso il personaggio del guerriero troppo sul serio, divenendo una persona con cui era difficile avere a che fare: in realtà lui non ha mai avuto intenzione di divenire la gimmick che stava interpretando, bensì è stato il personaggio stesso di Warrior che ha aiutato l’uomo, Jim Hellwig, a trovare se stesso, dandogli una grossa mano nel prosieguo, di successo ed ampiamente remunerativo, della sua carriera anche al di fuori del wrestling. Non in molti sanno, infatti, che oltre ad essere uno speaker motivazionale piuttosto ricercato (salvo i momenti in cui si è abbandonato a commenti davvero poco edificanti) Warrior è stato anche un artista estremamente apprezzato: uno dei suoi quadri, aventi come tema sempre il mondo spirituale/indiano, è stato venduto ad un collezionista per una cifra a sei zeri. Non male direi.

Chapter 1: The Beginning. Eppure il wrestling, all’inizio della sua carriera, non era decisamente nei piani. Jim Hellwig comincia a frequentare le palestre Statunitensi divenendo rapidamente un body builder professionista, sino a divenire Mr. Georgia nel 1984. Dotato di un fisico assolutamente fuori dal comune, viene rapidamente notato a livello locale ed indirizzato verso il mondo del wrestling, in un periodo in cui il nostro amato sport/intrattenimento non era decisamente un mondo per wrestling tecnici ma non fisicatissimi. Jerry Jarrett, celeberrimo promoter e padre di Jeff, una volta messi gli occhi su una fotografia di una palestra locale non può non notare due giovanotti dalle belle speranze: quei due giovanotti, Steve Borden e Jim Hellwig, verranno ricordati come due dei più grandi di sempre, Sting e The Ultimate Warrior.

I due vengono affiancati inizialmente a Duch Mantell, in quanto fisicamente imponenti ma verdissimi sia sul ring che al microfono, e nel difficile territorio di Memphis formano un tag team chiamato inizialmente “Freedom Fighters”, e successivamente “Blade Runners”, in quanto entrambi furono comparse nel celeberrimo ed omonimo film. Le strade di questi due talenti, all’epoca un po’ mal visti a causa dei loro fisici piuttosto “artificiali”, si separano quando Warrior nel 1986 viene messo sotto contratto dalla WCCW di Fritz Von Erich.

In questo territorio Jim comincia a sperimentare la gimmick che lo consegnerà alla storia: presentato come Dingo Warrior, diviene in brevissimo tempo un idolo della folla, e pur non essendo particolarmente dotato come worker, grazie alla sua presenza ed alla sua altissima dose di energetico carisma, viene notato dalla WWF.

Chapter 2: The Stardome. Nel 1987 Vince McMahon mette sotto contratto Hellwig, che pur mantenendo la stessa gimmick del “guerriero”, diviene il “guerriero definitivo” per differenziarsi da altri Warriors presenti nella federazione. Sia Vince Mc Mahon che lo stesso Hellwig ammettono che i promo effettuati da quest’ultimo erano spesso incomprensibili e privi di senso, tuttavia il modo in cui questi promo venivano effettuati, unitamente all’entrata assolutamente adrenalinica ed alla sua possente fisicità, contribuirono a rendere Warrior un vero e proprio idolo per giovani e giovanissimi, che vedevano in quella figura colorata e fumettesca un beniamino invincibile per cui tifare.

In questo frangente del documentario emerge il rapporto intercorrente tra Hellwig e McMahon: il primo cercava disperatamente l’approvazione non solo del pubblico, ma specialmente del Presidente della federazione. Essere lodato e tenuto in considerazione da Vince era qualcosa di imprescindibile per Warrior, e questo rapporto così intenso e viscerale, unito anche ad un livello di confidenza assolutamente paternalistico generato in poco tempo, è stato, in fin dei conti, il germe da cui le incomprensioni sono divenute odio, cause legali ed anni di distacco.

Nel 1988 Warrior vince il Titolo Intercontinentale ponendo fine al regno annuale di Honky Tonk Man (che chiese di avere uno squash match contro Warrior pur di non lavorare con lui per più di un minuto), divenendo a pieno Titolo uno dei volti della Federazione. Il personaggio di Ultimate Warrior poteva rivaleggiare, in quanto a popolarità e merchandising, anche con Hulk Hogan…ed all’epoca potersi vantare di questo alloro era un privilegio più unico che raro. Lo stesso Hogan, dotato di un senso degli affari spiccato ma volto forse in modo eccessivo alla sua autoconservazione, intravide le potenzialità dietro Hellwig, tuttavia voleva a tutti i costi tenerlo a distanza, per mantenere il suo spot ed i privilegi da esso derivanti. La natura solitaria e schiva di Warrior, opposta a quella accentratrice del suo rivale, portò lo scontro ben oltre le corde del ring, cominciando a creare forti dissapori tra i due volti della federazione.

A Wrestlemania VI il match fortemente voluto da Vince McMahon si concretizza. In un’epoca in cui rompere in canovaccio buono contro cattivo era estremamente raro, questo incontro tra le due stelle più brillanti del firmamento, entrambe amatissime dal pubblico di tutte le età, è descrivibile solo con due parole: dream match. Il primo Aprile del 1990, all’interno dello Skydome, Ultimate Warrior riesce a trionfare contro Hogan in un match combattutissimo ed equilibrato, divenendo possessore di entrambe le cinture più prestigiose. Apparentemente tutto potrebbe essere come un passaggio della torcia, ma la verità è ben diversa: Hogan acconsente al job pulito ma non fino in fondo, rialzandosi immediatamente dopo il conto di tre senza “vendere” la finisher e la WWF, pur avendo avuto fiducia in Warrior, in realtà non aveva avversari di rilievo subito pronti da mandargli contro. Sta di fatto che questo match diviene uno dei più significativi degli ultimi 30 anni, oltre ad essere il match più bello della carriera di Hellwig e sicuramente uno dei più belli anche per Hogan, per sua stessa ammissione.

Chapter 3: The Downfall. Una volta ceduta la cintura a Sgt. Slaughter in vista della faida tra questi ed Hogan a WM VII, Warrior fu coinvolto in una faida contro Macho King, che vinse in modo trionfante. Nel 1991 successe l’irreparabile: poco prima di Summerslam, Warrior chiese un aumento abbastanza consistente ed un numero inferiore di date, minacciando di non presentarsi al PPV in caso di diniego. La WWE inizialmente acconsentì alle richieste di Hellwig, ma successivamente lo sospese come conseguenza per le minacce ricevute. Tutto portò alle dimissioni del guerriero ed alla fine del suo primo stint in Federazione. Non vi saranno più, purtroppo, giorni più luminosi di quelli appena passati, se non 23 anni dopo.

Vince spiega, nel DVD, che per lui Warrior era stato più che una scommessa, piuttosto un investimento anche piuttosto consistente. Osservare un comportamento ritenuto così antiprofessionale fu considerato inaccettabile. Warrior, dal canto suo, spiega che era sua intenzione essere trattato come Hogan, che vedeva come suo paritetico…ed era disposto a tutto pur di vedersi riconosciuto come tale da tutti, in particolare da Vince.

Qui si apre una delle parentesi più interessanti del DVD: parlando del ritorno a Wrestlemania VIII, Warrior menziona l’utilizzo di steroidi a quei tempi. Hellwig non ha mai fatto mistero di aver usato, ed abusato, di steroidi ed ormoni di vario genere: all’epoca il discorso sulla salubrità di tali trattamenti mise la WWF nell’occhio del ciclone, dunque prima di tornare, Warrior voleva essere certo che non vi sarebbe stata alcuna conseguenza. Anche Vince McMahon parla dell’utilizzo, da parte di Warrior e Davey Boy Smith, dell’ormone della crescita, in un periodo in cui per avere successo bisognava “sperimentare”: tale sperimentazione portò al licenziamento di entrambi, per evitare ulteriori grane associate al logo WWF. Ecco, sentir parlare Vince in modo così corrucciato delle conseguenze di una SUA visione del wrestling business mi fa un po’ sorridere. Chissà se, intimamente, non vi sia un senso di colpa sotteso a tutte queste morti premature che, forse, sono state ampiamente accelerate da un utilizzo smodato di espedienti per avere fisici esplosivi, senza i quali molti dei nomi più altisonanti del wrestling forse sarebbero meno famosi, ma sicuramente più anziani.

Tornando al DVD, dopo il ritorno non eccezionale del 1992, seguì un ulteriore ritorno poco remunerativo nel 1996 a Wrestlemania XII, dopodiché Warrior fu avvicinato dalla WCW nel pieno periodo NWO, speranzosa di poter ricreare parte della magia di cinque anni prima tra Hogan e lo storico rivale. Bishoff e soci offrirono davvero molti soldi a Warrior, ma il risultato non fu decisamente quello sperato: il character del guerriero fu in parte snaturato e reso meno interessante, la NWO fagocitava tempo televisivo lasciando davvero briciole per tutto il resto del roster ed a Halloween Havoc il match tra Hogan e Warrior fu, a parere di entrambi in retrospettiva, uno dei peggiori match mai disputati. Con il senno di poi, Hellwig commenta il tutto con un lapidario “se avessi saputo, non sarei andato in WCW neanche per tutto l’oro del mondo!”.

Chapter 4: The Self Destruction of The Ultimate Warrior. Ossia, la goccia che fa traboccare il vaso. Questo DVD, abbastanza duro nei contenuti, indispettì non poco Hellwig, al punto di portare la WWE in Tribunale per rispondere dell’accaduto. E’ facile parlare solo bene di chi non c’è più, ma in questo caso sarebbe piuttosto ingiusto: Warrior nel corso della sua vita è stato un uomo molto particolare, autore di uscite infelici ed assolutamente da condannare, nonché conduttore di uno stile di vita ne backstage che, di fatto, lo portò ad essere emarginato da molti dei suoi colleghi, gran parte dei quali furono intervistati per il DVD. DVD che è in effetti un’ora e mezza di critica spietata, in cui è stata data voce tutte le persone che hanno avuto problemi con Warrior nel corso degli anni, senza filtri o censura di sorta. Anche la frase di Hogan “se Vince ci avesse detto del ricatto pre/Summerslam, avremmo risolto il tutto nel backstage tra noi wrestler spezzandogli le gambe” fu portata in tribunale, e nella stessa sede Hogan definì Warrior come un worker sopravvalutato, un poco di buono. Le due parti finirono con il venirsi incontro, ma oramai il danno era stato fatto. Tutto sembrava aver creato, negli anni tra il 2005 ed il 2008, un solco così profondo da essere incolmabile, ferite così vaste da non poter essere rimarginate con il passare di solo qualche anno. Da quel punto in poi, Hogan e la WWE furono bersaglio di videoblog piuttosto espliciti da parte di Warrior, posseduto dal lucido delirio di un animale ferito…o di un amante tradito.

Chapter 5: The Hall of Fame. Ossia, il capolavoro di Triple H. Dopo aver rinunciato in un primo momento all’induzione nella HOF, Warrior viene prima inserito nel videogioco WWE 2K14, per poi accettare la meritata induzione nell’arca della gloria. Aver avuto le telecamere puntate su Hellwig durante tutta la sua permanenza nel weekend di Wrestlemania è un qualcosa di a dir poco assurdo, vedere con gli occhi di un indiscreto cameraman l’incontro con HHH, con Linda Mc Mahon e soprattutto con Vince McMahon assume toni tristi e bellissimi allo stesso tempo. Il rapporto con Vince emerge in tutta la sua potenza in questi momenti finali del Documentario: i due si abbracciano in modo assolutamente spontaneo e sincero, e le telecamere anziché diventare un pretesto per poter creare una serenità di facciata, al fine di raccontare una melensa storia, sono poco meno di una finestra su una bellissima realtà umana. Shawn Michaels, Hogan, Bret Hart sono i personaggi che maggiormente erano legati alla figura paterna di Vince, e nel contempo, ironia della sorte, sono anche quelli con cui lo stesso ha avuto gli scontri più feroci ed arcigni. Jim Hellwig è un altro nome su quella lista: il sentimento che lo legava a Vince era rimasto sempre della stessa intensità, e vedersi attaccare in modo così spietato deve aver messo in moto meccanismi di difesa psicologica piuttosto complessi ed altamente logoranti. Warrior, prima del discorso, regala a Vince il libro per bambini “The Little Engine that Could”, simbolo di uno degli insegnamenti impartitigli nel corso degli anni: la gioia e la commozione sono così densi dall’essere palpabili, e se tutto era finto e o preparato…beh, date un oscar a Vince McMahon e mandate Di Caprio a fare “Un Posto al Sole”.

A questo punto Vince, in lacrime, ricorda gli ultimi momenti passati assieme al ritrovato figliol prodigo ed a quanto iconica sia quella foto scattata da Stephanie, con i due abbracciati e sorridenti. Warrior, invece, viene ripreso in compagnia delle figlie nel backstage e sul finire del Documentario intento a riconciliarsi anche con Hogan, accettando le sue scuse e mettendo la parola “fine” su un libro in cui troppe pagine sono state strappate per i motivi sbagliati.

Final Chapter: Raw 07/04/2014. Famiglia in prima fila. Sguardi colmi di orgoglio, commozione e leggerezza derivante da una catartica chiusura di un capitolo tribolato ed orribile. La gioia di poter essere davanti ai propri fans. L’ultimo saluto che assume, il giorno dopo, toni di un ultimo lascito, di un epitaffio beffardo inciso con le proprie mani sulla propria lapide. Il documentario si chiude con Warrior sudato, malconcio ma sereno contorniato dalle due figlie, Indiana e Mattigan, che esclama “è bello poter tornare a casa dopo 18 anni…guardo al futuro con ottimismo e felicità!”. Non ci sarà un futuro per Jim Hellwig, ma ci sarà per Warrior. Con il senno di poi, aver lasciato questo mondo così felice, aver avuto l’opportunità di essere celebrato degnamente dopo anni di contrasti, al fine di poter essere ricordato anche dalle prossime generazioni, è stato un qualcosa dal tempismo macabro, ma quanto mai opportuno.

Le Voci:

Steph & Triple H: Stephanie in tutto il Documentario è estremamente intenta a celebrare la vita del guerriero, soffermandosi davvero poco sulla triste dipartita. Triple H, invece, è visibilmente turbato, forse anche a causa degli stretti contatti intercorsi tra lui e Hellwig in questo ultimo anno.

Steve “Sting” Borden: vedere Sting in questo Documentario era a dir poco necessario. Il suo punto di vista sulla creatività estrema di Hellwig, che talvolta lo aveva reso ingestibile, è molto puntuale ed obiettivo: giusto ricordare un uomo così complesso in modo così equilibrato.

Cena, Cesaro, Kingston, Batista, Ziggler: usati opportunamente per ricordare il wrestler, le sue particolarità, il motivo per cui, da piccoli, lo amavano così tanto.

Hogan: purtroppo, a distanza di anni non credo che Terry Bollea sia capace di emergere e di essere scorto anche da un occhio attento sotto l’enorme schermo protettivo che è Hulk Hogan. Il suo punto di vista circa il match disputato a WM VI sembra piuttosto sincero, mentre tutto il resto sa non poco di artificiale e studiato.

Vince Mc Mahon: in questo Documentario, si scorge un lato davvero nascosto di questo personaggio così affascinante e carismatico. Il suo dolore è davvero palpabile, e la felicità dell’essersi riappacificato con un amico che aveva amato così tanto, è senza timore di smentita sincero e genuino. La sua figura, negli anni, sembra aver attratto da sempre personaggi problematici, “ragazzi difficili” con cui, inevitabilmente, ha finito con lo scontrarsi. E’ bello, tuttavia, sapere che il dolore derivante dalla perdita, sia stato preceduto da una felicità così sincera e spassionata.

Ultimate Warrior: il Documentario ha due sessioni di interviste, una a casa Hellwig almeno un paio di settimane prima ed una composta da più spezzoni “spalmati” tra il 4 ed il 7 Aprile. E’ sconcertante vedere la differenza tra la prima e la seconda parte: in quest’ultima Warrior appare sudato, stremato, eccessivamente affaticato ed ansimante. Forse l’adrenalina di quei giorni ha “appannato” il malessere ed il dolore…chi può dirlo. Sta di fatto che lo descriverei, in ogni caso, con un’unica parola: felice. Hellwig era un uomo felice. Felice di aver potuto mostrare alle proprie figlie ciò che lo ha reso grande, felice di poter essersi riavvicinato a tutti i suoi fans…ma soprattutto, felice di aver ritrovato il suo “padre putativo”, Vince Mc Mahon. Il messaggio che Warrior manda con questo documentario è forte, potente e diretto: la vita è decisamente troppo breve per essere consumata dall’odio e dai rancori, a prescindere dalle motivazioni.

Considerazioni finali: guardate questo Documentario. Definirlo ben fatto non renderebbe giustizia a questo vero, incredibile pezzo di storia del wrestling: non è un’apologia, non è auto celebrativo, non ha eccessivo revisionismo e non è una monografia schematica su un personaggio. Questo documentario è un piccolo viaggio: il successo, i fallimenti, gli errori e la redenzione di un uomo che non ha mai smesso di essere “particolare”, ma che non verrà mai dimenticato. E’ la storia di un padre, di un marito, di un uomo che, nonostante i suoi limiti caratteriali, è riuscito a far sua una seconda chance all’ultimo secondo utile. Consiglio da fan di wrestling: non ve lo lasciate sfuggire…forse mi sono dilungato un po’ troppo, ma vi posso assicurare che omettere un qualsivoglia dettaglio non avrebbe reso giustizia.

Spero che la lettura vi sia piaciuta. RIP Warrior.

NM Punk