Il boom della nostra disciplina preferita in terra di Albione era iniziato da un po’, contrapponendosi a un calo della scena statunitense dovuto soprattutto al cannibalismo assoluto della WWE. La “rivoluzione” è da qualche tempo guidata da due realtà decisamente diverse l’una dall’altra, due federazioni agli antipodi, con filosofie e stili nettamente contrapposti (anche se molti atleti combattono per entrambe), che vedono spesso anche scontri – verbali, si capisce – tra appassionati, ma entrambe capaci di vendere biglietti a palate e di riempire le arene scelte. Parlo naturalmente della ICW, la Insane Championship Wrestling di Glasgow, e della PROGRESS di Londra. Mentre la federazione della capitale del Regno Unito propone show fatti di match ad altissimo contenuto di spettacolo puro, quella scozzese ha scelto di costruire lentamente storie lunghe e complesse, che è necessario seguire di show in show, di settimana in settimana. Due stili diversi, come dicevo, che tendono ad appassionare persone diverse. Ma, tra l’una e l’altra, contribuiscono a fare grande il wrestling britannico.
Ovviamente queste due sono le federazioni al momento più in vista e più originali sulla piazza, ma non sono assolutamente le uniche a operare sul territorio – né le uniche ad avere successo. Uno stile più sorridente alle “grandi americane” ce l’ha la PCW, la Preston City Wrestling, che presenta show cui partecipano regolarmente grandi e un po’ meno grandi nomi del recente passato WWE, la cui presenza aiuta a vendere biglietti. Uno stile simile ce l’ha la neonata ma già rinomata WCPW, la What Culture Pro Wrestling, nata da una pagina web. La RevPro è rinomata per le card stellari che promuove in ogni circostanza, grazie ad accordi con la Ring of Honor e con la New Japan Pro Wrestling. E poi ci sono innumerevoli federazioni con un profilo leggermente inferiore a queste ma comunque dal valore indiscutibile. E poi ci sono stati gli atleti britannici che hanno fatto il “grande passo” firmando per la WWE. Solo quest’anno abbiamo visto Noam Dar, Nikki Storm (ora Nikki Cross), Jack Gallagher e Big Damo guidare la carica, segno che la WWE si è resa conto di quanto questa scena possa dare – tanto che è recente l’annuncio del WWE British Championship, un torneo che si terrà a Blackpool tra poche settimane cui parteciperanno solo atleti dal Regno Unito e dalla Repubblica d’Irlanda.
La WWE, certo, ma non solo. Sappiamo bene delle avventure di Will Ospreay in ROH e in NJPW, dove ha addirittura vinto il prestigiosissimo Best of Super Juniors – secondo europeo dopo Prince Devitt (ora Finn Bálor) che l’ha conquistato due volte. Si tratta di un torneo vinto in passato da nomi come Eddie Guerrero nelle vesti di Black Tiger II, Chris Benoit (due volte, come Pegasus Kid e poi come Wild Pegasus) e dai più grandi non-heavyweight giapponesi. E come possiamo ignorare il suo amico e rivale Marty Scurll, che proprio a Ospreay ha strappato il Television Title della ROH dopo aver vinto nientemeno che la BOLA, la Battle of Los Angeles, in PWE – peraltro affrontando in finale proprio Ospreay (e Trevor Lee). E ovviamente ci sono sempre Zack Sabre jr. che si fa valere ovunque vada e Drew Galloway, che il prestigioso PWI – Pro Wrestling Illustrated – ha posizionato al numero undici nella sua classifica dei wrestler più rilevanti del 2016 (Ospreay è sedicesimo).
Ci sono stati alcuni show che hanno fatto la storia, tra tutti Fear & Loathing IX della ICW che ha visto 6.193 paganti, lo show indipendente europeo con più pubblico da quando, nel giugno 1981, all’apice del successo del wrestling britannico, Big Daddy e Giant Haystacks si sono affrontati, alla Wembley Arena di Londra, di fronte a circa diecimila spettatori (chissà quanti paganti). A Fear & Loathing, tra l’altro, è apparso Finn Bálor: si tratta della prima volta da decenni che la WWE ha concesso a un atleta che tiene sotto contratto di comparire in uno show organizzato da un’altra federazione (a meno che tale atleta non avesse già firmato un accordo prima di essere ingaggiato dalla WWE, naturalmente, ma questo non è stato il caso).
E poi ci sono le televisioni. La ICW viene trasmessa in 39 nazioni diverse, compresa – dal 4 aprile – la nostra Italia (ogni venerdì alle 21 su Nuvolari/Nuvola61); ITV, la più importante rete privata britannica, ha organizzato, per ora per una sola serata, un ritorno di World of Sports – Wrestling, uno show che è andato in onda settimanalmente per decenni fino a una trentina d’anni fa. E chissà cos’altro. Ma che cosa ha causato questa esplosione? Mi concentrerò sulla ICW in quanto la conosco meglio, senza voler togliere nulla alle altre. Costanza, anzitutto. E, certo, un po’ di fortuna. La Insane Championship Wrestling è nata dieci anni fa, il 15 ottobre 2006, perché un ragazzo di 21 anni di nome Mark Dallas si era messo in mente di creare una federazione un po’ diversa da quelle che già esistevano in zona, una realtà un po’ provocatoria, che riportasse alla mente la WWE (anzi, WWF) della “Attitude Era” e la ECW di Paul Heyman. Ha investito tutti i soldi che aveva e ha organizzato uno show, che ha chiamato Fear & Loathing in onore del suo film e libro preferito, invitando la “leggenda” (termine che tanti abusano, quindi mi sento in diritto di farlo anch’io) Tracy Smothers. Se qualcuno non ricorda chi è Smothers si vergogni! No, non dell’ignoranza: del non essere in grado di cercare su Google. Insieme a Smothers, allo show di Dallas hanno partecipato alcuni amici e conoscenti di quest’ultimo, che per qualche tempo si era allenato con l’idea di diventare lui stesso un wrestler. Tra i partecipanti a quello show, oltre a illustri sconosciuti, gente come Wolfgang, Red Lightning, Kid Fite, Liam Thomson, Darkside (ora noto come James Scott), Mike Musso, Mojo Pervito (ora Prince Ameen) e un certo Drew Galloway, che aveva appena strappato il titolo IWW, in Irlanda, a Sheamus O’Shaunessy – se eliminate il cognome capite a chi mi riferisco.
Su quella gente e altri che presto si sono aggiunti alla compagnia (Lionheart, Chris Renfrew, BT Gunn tra tutti), Dallas ha cominciato a costruire, tra alti e bassi ma senza mai mollare. Ed è questo che ha portato la ICW, nel giro appunto di un decennio, dal faticare per poter mettere su uno show con una cinquantina di spettatori a poter ingaggiare Kurt Angle per esibirsi di fronte a ben oltre seimila paganti. Ovviamente, le circostanze hanno aiutato. Il Regno Unito è sempre stato un territorio importante per il wrestling; negli anni ottanta era senza dubbio immediatamente alle spalle delle tre patrie della disciplina (USA, Giappone e Messico), con trasmissioni televisive settimanali, ma a partire dal decennio successivo ha subito un forte calo. È grazie a gente come Mark Dallas (nonché Jim Smallman e Jon Briley della Progress, e Stephen Fludder della PCW, e Ross Watson della PBW, e Ben Webb della Fight Club Pro, e Adrian McCallum della PWE, e Graham McKay della BCW… avete capito cosa intendo) che ora il wrestling britannico è tornato sulla cresta dell’onda. C’è sempre, più o meno, qualche strizzata d’occhio nei confronti del prodotto più mainstream, quello statunitense, ma c’è anche una grande attenzione allo sviluppo dei vari atleti, sia per quanto riguarda il lavoro sul ring che dal punto di vista del personaggio. Non si tratta insomma di copie pedisseque della WWE, ma nemmeno della WCW o della ECW del passato, ma di tentativi di proporre un wrestling leggermente diverso ma comunque riconducibile al retroterra che ormai ci accomuna quasi tutti, quello della WWF/WWE del periodo che va dalla Hulkamania alla Cenation. Scaltrezza nel business, quindi, e anche tanta passione e tanti rischi corsi. E soprattutto attenzione a ogni minimo dettaglio, sul ring e nella promozione.
Ciò che però farà ricordare quest’anno trionfale con un po’ di magone, comunque, è il fatto che il 31 marzo, a 32 anni, se n’è andato Kris Travis, sconfitto da un male che sembrava aver superato. Chi era? Sin dall’esordio nel 2003, si è mostrato uno dei prospetti più importanti del wrestling britannico. Un ragazzo alto, dal fisico asciutto e perfettamente definito, che nel 2007 ha cominciato a combattere in coppia con Martin Kirby nei Project Ego creandosi una piattaforma dalla quale ha poi spiccato il volo. Insieme, i due hanno detenuto titoli in RevPro, 1PW, IPW:UK e numerose altre federazioni, rendendosi il tag team britannico più in vista. Ma hanno anche mantenuto carriere autonome, anche scontrandosi tra loro, e nell’estate 2012 Trav (così lo chiamavano tutti) ha conquistato la cintura di campione della PCW. Nel 2013, poi, è stato votato il miglior wrestler britannico dell’anno e ha combattuto per la WWE in un dark match. E poi, nell’ottobre 2014, dopo essersi qualificato per le finali del British Bootcamp della TNA (che tutti si aspettavano vincesse), la tegola: Kris Travis ha annunciato pubblicamente di aver ricevuto una diagnosi terribile. Tumore allo stomaco. Immediatamente, sono piovute le parole di sostegno – non solo da parte dei tifosi e degli avversari regolari ma anche dai più grossi nomi del wrestling mondiale, primi tra tutti Chris Jericho e William Regal. Dopo un’operazione e la chemioterapia, Trav sembrava guarito – tanto da tornare sul ring nel giugno 2015. Con il vecchio amico Martin Kirby ha conquistato il titolo di coppia della SWE, è andato in PPCW contro Sha Samuels (nel suo primo match dopo la malattia), ha aiutato Lou King Sharp a difendere il titolo PWE, ha affrontato Drew Galloway per il titolo ICW, è tornato in Progress dove ha sconfitto Marty Scurll… e poi, in settembre, la terribile notizia. Il tumore era tornato. E il 31 marzo 2016 ci ha portato via Kris Travis.
I tributi alla sua memoria sono piovuti. Il primo a dare notizia pubblica del fatto è stato, su Twitter, Martin Kirby; immediatamente gli hanno dato l’addio anche El Ligero, che l’ha affrontato in più di cinquanta occasioni, e Chris Masters, con cui ha avuto uno spettacolare feud in PCW. E poi Kevin Owens, che l’aveva affrontato in due occasioni prima di andare in WWE; il vecchio amico Neville; X-Pac Sean Waltman e Road Dogg; Finn Bálor; Samoa Joe; Paige… in breve, l’intero mondo del wrestling. Will Ospreay l’ha ricordato subito dopo aver vinto il BOSJ in Giappone. E anche varie federazioni hanno fatto la loro parte. Il 3 aprile, in ICW, ogni atleta e membro dello staff ha indossato qualcosa di rosa in onore di Trav, che aveva scelto quel colore per il suo attire; la PCW ha cambiato il nome del suo classico “Road to Glory Tournament” ribattezzandolo “Kris Travis Memorial Tournament”; la PWE ha dedicato a lui lo show del suo quinto anniversario, con un video che non ha lasciato nessuno a occhi asciutti. E non solo. Il suo vecchio amico e avversario Noam Dar, all’esordio in WWE (se si esclude il CWC) davanti al pubblico di Glasgow, è salito sul ring con al braccio una fascia che riportava le iniziali KT. Indimenticabile Trav.
Il 2016. Quando il wrestling britannico ha dimostrato di essere ai livelli di quello statunitense. Quando atleti cresciuti nel Regno Unito sono stati scelti per vincere tornei e trofei in Giappone e in California. Quando ex campioni WWE hanno accettato di buon cuore di essere sconfitti in maniera netta e pulita sui ring britannici. Quando, forse, si è visto uno stile diverso di wrestling venire riconosciuto come degno dai più noti. L’anno della rivoluzione.
MARCO PIVA (in prestito from We The Wrestling)