E’ strano trovarsi a parlare di Dynamite un anno dopo. Lo è perché il mondo e la vita non è stata molto tenera in questo 2020, ha riservato sorprese tristi un poì a tutti. Pensate dunque, sul lato sportivo, ad una federazione che nasce nel 2019 ed ha un anno per farsi conoscere e in qualche modo affermarsi. Nel mezzo incombe una pandemia che ribalta tutto e costringe a prendere decisioni talvolta affrettate, talvolta fin troppo rimandate, saltando diversi gradini della crescita.

Eppure Dynamite è qui a festeggiare un anno. Non si può dire non sia stato uno show coinvolgente: soprattutto nei primi 5 mesi ci sono state spesso puntate di altissimo profilo, supportate anche dal calore del pubblico che hanno assiepato le arene di mezza America. E questo è stato un primo importante indice di come ci fosse bisogno d’altro che non fosse la WWE: la media dei presenti è stata di 3.800 persone, con picchi di oltre 10 mila nei ppv. Segno che c’era là fuori una nicchia che non attendeva altro che una scossa nel panorama del wrestling mondiale.

La scossa è arrivata? Ni. Certo la pandemia ha messo i bastoni tra le ruote, costringendo la All Elite Wrestling a due mesi di show da indy dei bassifondi in quello che era uno spazio ridotto di una palestra. Hanno avuto il coraggio di osare, di andare avanti, riducendo al minimo il pericolo di contagi e fornendo sempre un prodotto che filasse narrativamente. Certo l’assenza del pubblico si è sentita: i debutti di Matt Hardy, Brodie Lee, FTR e di altri sono giunti nel silenzio più totale. Con un boato, sarebbe stato tutto molto diverso e avrebbe dato alla federazione un indicatore preciso della volontà del pubblico.

Hanno dovuto fare senza, faticando non poco. Le donne si stanno riscattando solo da un mese a questa parte, segno che l’esperimento Giappone/Gran Bretagna è fallito e non di poco. Il 90% delle atlete messe sotto contratto un anno fa, ora non ci sono più rimpiazzate da ragazze con un più alto livello tecnico e d’esperienza. La zona main event è spesso stata gestita in modo reattivo ad una mancanza generale di nomi forti: in modo lineare Moxley ha combattuto con Hager, Lee, Cage, fino ad arrivare a MJF. Ma non sono questi i nomi che avrebbero potuto far saltare sulla sedia i tifosi, sebbene il feud con Maxwell sia stato gestito al meglio. La povertà si vede e si sente, nel momento in cui tanti nomi forti sono impegnati in altro.

Ad esempio Jericho, Cody, Omega, Page sono stati spostati altrove. Volenti o nolenti, questi sono i nomi grossi della federazione e sulle loro spalle dovrebbe poggiarsi ancora per un po’. Anche perché per Moxley il dopo Archer è decisamente nebuloso: a meno di un ritorno di Cage per un rematch o il lancio improvviso di Miro, dietro c’è una voragine. Tutto questo perché ad un certo punto la pandemia ha costretto il booking team a lavorare tanto sul midcarding, che in precedenza mancava. Così sono saliti gli Allin, gli Starks, i Cassidy, i Guevara e tanti altri. Solo che ora manca solo lo step successivo.

Giornalista professionista ed esperto di comunicazione, dal dicembre del 2006 è redattore di Zona Wrestling. Negli anni è stato autore di rubriche di successo come il Pick The Speak, Wrestling Superstars, The Corey Side, Giro d'Italia tra le fed italiane, Uno sguardo in Italia, Coppa dei Campioni, Indy City Beatdown e tante altre. Il primo giornalista in Italia ad aver parlato diffusamente di TNA ed AEW su un sito italiano di wrestling.