Ritorna, tre anni dopo l’ultima volta, la rubrica “Giro d’Italia” dedicata al mondo del wrestling italiano. Un ulteriore modo di raccontare quanto avviene nel nostro paese attraverso le interviste che consentono di conoscere, riconoscere e scoprire i principali protagonisti dei ring italiani. Per iniziare alla grande non potevo non chiamare colui che più di tutti in questi anni ha dato spazio ad una perfetta alchimia tra atleti nostrani e forze internazionali: Fabio Tornaghi, patron della Rising Sun Wrestling Promotion.
6 anni fa iniziava una storia che ha attraversato momenti diversi. Se ti guardi indietro, cosa vedi?
Vedo un’incredibile avventura, che non avrei mai pensato potesse avere questi sviluppi. Atleti internazionali di primissimo piano, eventi con un numero di presenze record per la Lombardia, che non si raggiungevano da decenni, la crescita e lo sviluppo di atleti italiani (pur senza un’accademia), ed a livello personale la necessità e la voglia di mettermi in gioco. In mezzo mettiamoci il Covid che ci ammazza e ci costringe a ripartire da zero. Sembrano 60 anni più che 6, in effetti!
La Sun dal canto suo è stata la prima a smontare il detto che in Italia non si potesse collaborare. Con quante realtà hai collaborato e come hanno arricchito il percorso della Promotion in questi anni?
In fondo la Sun ha seguito il solco creato dall’Asca, che come dico sempre rappresenta un vero punto di riferimento per chiunque ami il wrestling in Italia, a
prescindere dal fatto che al momento non sia attiva. Senza di loro non ci sarebbe stato quello che c’è ora, e credo che il wrestling italiano sarebbe ancora a livelli scadenti. Ovviamente poi ci abbiamo messo del nostro: da sempre credo che, considerando quanto siano limitate la diffusione e la credibilità del wrestling in Italia, farsi la guerra sia un atteggiamento davvero stupido ed infantile. L’obiettivo di tutti dovrebbe essere di far sì che il wrestling italiano cresca, e raggiunga i livelli di popolarità non dico propri di nazioni storiche, ma quantomeno nella media
europea. Abbiamo collaborato più o meno con tutti, ed ogni collaborazione (episodica o sistematica) ha avuto lo scopo di aiutarci a crescere e, spero, di aiutare anche chi ha collaborato con noi a migliorarsi.
Sei stato il primo a credere in maniera forte in Francesco Akira, che oggi ha una carriera piuttosto avviata verso lidi di prestigio. Che rapporto hai con lui e dove nacque quella fiducia nelle sue abilità?
Akira era un talento talmente incredibile che solo un cieco non se ne sarebbe accorto, non c’è grande merito da parte mia in tal senso. Certamente c’erano diversi dubbi riguardo il suo futuro, perchè parliamo di un ragazzo minorenne che pesava meno di 60 Kg, quindi la strada da fare era tanta. Però, se c’era uno che poteva farcela era sicuramente lui, e provare ad aprirgli qualche porta era secondo me un dovere. L’atteggiamento, a differenza magari di altri (che nel frattempo si sono persi o sono pressochè spariti, facendo passi indietro) era un altro dei suoi punti di forza. Bergamasco concreto, pieno di passione e di voglia di spaccare il mondo, sempre con le
orecchie tese per ascoltare ed imparare sempre di più. Quanti avrebbero avuto la forza mentale di fare quell’esperienza in
Giappone, scegliendo di star là durante una pandemia, senza vedere i propri cari per due anni circa, così lontano da casa sotto tutti i punti di vista? La cosa bella è che questo è solo un primo passo nella sua carriera, che spero possa dargli le soddisfazioni che merita.
C’è un evento che ti è rimasto particolarmente nel cuore e che ancora oggi ricordi fortemente?
Ogni evento ti lascia qualcosa, nel bene e nel male. E’ peraltro semplice indicare come “The New House of the Rising Sun” sia stato
quello che mi ha dato di più: Will Ospreay in Italia come campione NJPW non è qualcosa che avrei pensato di poter realizzare. Palazzetto sold out, gente rimasta fuori che chiedeva di entrare anche senza aver posto a sedere, un’atmosfera folle per un evento che è stato qualcosa di incredibile. Ma, più di quello, forse la cosa più bella è stata prendere parte ai 3 giorni del wXw 16 Carat 2020. Fino a quel giorno tutto sommato ogni cosa fatta era “a casa nostra”, ma essere invitati lì, condividere il backstage con professionisti fenomenali finora ammirati solo in TV, è stato come se qualcuno mi avesse detto che anche noi apparteniamo alla Serie A del Wrestling mondiale. Una sensazione unica.
Il crollo del wrestling britannico ha probabilmente azzoppato la capacità delle promotion italiane di chiamare stranieri di grande rilevanza. È cambiato qualcosa per te? Ci sono degli atleti stranieri con cui si è instaurato un rapporto di fiducia per cui anche il pubblico lo sente come parte integrante degli show?
In realtà non cambia molto, il problema è sempre solo la pandemia. Con la situazione attuale sono molti meno gli internazionali interessati a fare tour europei o britannici, e da lì nasce la difficoltà di bookare i grandi nomi a cui avevamo abituato il nostro pubblico. Nel contempo la WWE ha portato via tanti talenti, ed al giorno d’oggi è più
complesso trovare un nome che possa far pensare “wow, che bomba!”, come lo furono quelli di Thatcher, Angelico, Ospreay o David Starr.
Qual è il rimpianto che ti è rimasto dentro di questi 6 anni?
Il 2020, l’anno della pandemia. Avevamo già concordato show in Italia di due principali compagnie mondiali, che avremmo svolto a Milano con la compartecipazione di nostri atleti. Un’occasione unica per provare ad aumentare il pubblico, i cui numeri erano già cresciuti tantissimo (avevamo una crescita del +100% circa di anno in anno) e che pensavo potessero crescere ulteriormente, tanto che mi ero posto l’ambizioso obiettivo di realizzare un evento con 1000 presenti entro fine 2021 (obiettivo che oggi sarebbe ritenuto folle, ma che dati i numeri dell’evento di febbraio 2020 e sapendo cosa c’era in serbo ritenevo
ampiamente alla portata).
Qual è il prossimo show della Sun e cosa vedremo?
Sabato 12 marzo a Lacchiarella (provincia di Milano) andrà in scena “Fiebre del Oro”, e poi sabato 30 aprile saremo nuovamente a Milano. A prescindere dai singoli wrestler/match, l’obiettivo che ci poniamo è
come sempre di realizzare un evento che sia gradito a tutti i palati, dalla famiglia all’appassionato di indies, puntando come sempre sugli atleti italiani in primis, osando e cercando di innovare anche nella
tipologia dei match e del racconto portato in scena.