E’ che questa volta non ci sono parole. Davvero non ci sono parole. Si potrebbe restare delle ore a cercarle, e l’unica frase che ti verrebbe in mente sarebbe che non ci sono parole, o frasi. Si sguazza spesso in questa situazione quando ci si trova a dover scrivere di qualcosa o di qualcuno, immobili e senza la voglia di dire niente. Si pensa di non avere, stavolta, nessuna idea per dare un’emozione, o per far si che chi legge capisca a pieno ciò che si vuole dire, che capisca a pieno la persona di cui si sta raccontando. Si arriva a pensare di non fare niente. Questa volta però, d’ improvviso, mi sono guardato in un immaginario specchio, che in realtà può essere anche il mio riflesso sullo schermo del computer, e ho compreso che forse questa volta le parole non ci sono e basta. Davvero, non ci sono.
Come si fa a raccontare la vita di Antonio Inoki in maniera giusta. Da dove si inizia per non far si che sia una mera biografia degli avvenimenti della sua vita. Per far si che non sia un bla bla bla di momenti messi uno dietro l’altro. Sicuramente mi manca il talento, forse la formazione, ma chi, in questo mondo, potrebbe essere capace di scrivere cosi tanta grandezza, prendendola da ogni angolo, in 4, forse 5 strofe senza musica, che non preannunciano nemmeno, mai, un ritornello.
Perché un ritornello non c’era nella vita di Antonio Inoki. Dal momento in cui è nato, non ha fatto mai qualcosa uguale, a parte avere successo. Un successo ripetuto si, ma sempre diverso. Un successo che parte dallo sport che si fa da ragazzo, dall’atletica, che continua col Wrestling, in tutte le sue forme. Un successo che lo spinge in politica, nella vita vera, per cercare di far meglio le cose che erano state fatte male in passato, e lui, nato due anni prima degli attacchi nucleari, sapeva bene quanto male erano state fatte, quelle cose.
Antonio Inoki, cantautore della vita, oltre che del Ring, ha scritto i suoi ritornelli tutti alternativi. Ecco perché è unico. Tessere le sue lodi è persino difficile, perché è difficile far capire che cosa sia stato per il suo paese e per il suo movimento. Un Wrestler che ha imparato Wrestling, insegnato Wrestling e creato Wrestling.Un uomo che ha imparato, insegnato e creato vita. Uno bravissimo nell’apprendere e nel dare, nell’arrabbiarsi e nel motivare. Un uomo come ne nascono pochi, in innovatore come nessuno.
Proprio come il suo concetto di Wrestling, niente è stato lasciato al caso nella sua incredibile vita, nemmeno il suo nome, Kanji, poi trasformato in Antonio, per onorare un immigrato in Sudamerica, proprio come lui. Un italiano che stava facendo per il popolo, con il suo esempio, ciò che anche lui avrebbe fatto. Niente è stato lasciato al caso, nemmeno la sua religione.
Ha mischiato il mischiabile Inoki, dimostrando che l’allargare le proprie vedute può farci crescere come uomini e come paese. Anche lui, salendo sul Ring con Muhammad Alì o sbarcando negli Stati Uniti, e poi più in la, in Corea del Nord, ha cercato di far capire che solo con la collaborazione, l’apertura e il dialogo, ci si può avvicinare. Ha aiutato, facendo questo, anche il suo paese e stracciarsi di dosso un aurea nera e appiccicosa che gli stava attaccata dagli anni bui della seconda guerra mondiale. Ha contribuito a far conoscere una cultura nascosta, bistrattata e emarginata, mostrando come non c’era niente di strano, semplicemente era diverso.
Tutto questo era Antonio Inoki. E a parte questo, era un Wrestler. La sua biografia e i suoi Match li potete trovare ovunque. I suoi record, le sue compagnie, i suoi compagni e i suoi allievi, sono scritti in 10.000 pagine diverse. Ma il messaggio che ha lasciato su questo mondo, è da capire e sostenere. Da ricordare e preservare. Inoki non è quel Wrestler giapponese importantissimo, Inoki è quell’uomo del mondo come altre centinaia dovrebbero nascerne.
Antonio Inoki è, e per sempre resterà, una leggenda del Puroresu e del Pro Wrestling in generale, ma è e resterà, soprattutto, un’icona di grandezza ed umanità. L’umanità di chi dal letto di morte, è ancora capace di un sorriso per far soffrire un po’ di meno chi sta soffrendo davvero, chi sta soffrendo anche per lui.