A 24 ore dalla notizia della scomparsa di Bray Wyatt c’è ancora incredulità, stupore, rammarico, dolore per la morte di uno dei più grandi personaggi WWE degli ultimi 10 anni. Non ho mai fatto mistero che la “Firefly fun house” e i suoi match “cinematografici” (così ignobilmente definiti dai sedicenti esperti) erano i segmenti che più mi interessavano dei programmi WWE. Wyatt era un genio, come pochi, e la sua vena creativa lo ha portato in rotta di collisione con la dirigenza, che lo ha licenziato per questo qualche anno fa (o perlomeno queste erano le voci degli “insiders”). Poi è tornato, ed anche se era partito lentamente, stava ricostruendoun personaggio nuovo, quasi più tenebroso di The Fiend, che con i suoi promo registrava i più alti ascolti dell’intera puntata.
Ma quando sembrava che Bray era ormai in pianta stabile, lanciato verso la stratosfera, è arrivata una nuova doccia fredda: Bray è sparito dalle scene per non si sa quale problema di salute. Tra chi immaginava problemi di salute mentale, e chi invece raccontava di una seria malattia fisica, Bray era sparito dalle scene poco prima di Wrestlemania 39. Da allora, tutto il WWE Universe ha aspettato in trepidazione un cenno, un segnale di un suo ritorno. Il 24 Agosto ogni speranza però è stata soffocata. Il lottatore è morto in seguito ad un attacco cardiaco post-Covid. Bray se ne va, per sempre, e con lui quell’ultimo lampo di genio che ancora c’era in WWE. E nessuno ha avuto dubbi che, come lui, nessuno mai.
Ho riguardato, in piena nostalgia, un incontro che ho apprezzato tanto la prima volta che l’ho visto, ossia il match con Cena a Wrestlemania 36. Un match che ha suscitato tante critiche perché ritenuto troppo “sceneggiato”. Ma resta che di meglio (in piena pandemia) e di più non si poteva fare. E azzardo che anche in una Wrestlemania senza covid, un match così avrebbe meritatamente guadagnato il suo posto nella card. Quella contesa, o quel siparietto se vogliamo, è una “summa” di ciò che Wyatt era in grado di fare. L’Heater of the World ha progressivamente distrutto il personaggio, e l’uomo, John Cena. Ripercorrendo i suoi inizi nel 2002, impersonificando Kurt Angle, che lo “presentò” al pubblico WWE per la prima volta, ma evitando quel “rumoroso” schiaffo che Cena rifilò all’eroe olimpico che lo aiutò ad affermarsi sin da subito nel panorama mondiale. Con questa piccola azione (evitare quello schiaffo), Wyatt ha ridicolizzato Cena, lo ha “ridimensionato” a piccolo jobber speranzoso di fare il suo impatto nel mondo del pro-Wrestling.
Poi Wyatt, attraverso una sottile analogia, lo ha paragonato all’Hulk Hogan del SNL, tronfio e egoista, e come l’Hulkster, capace di costruire il suo successo (attraverso la Gimmick del Rapper) sulle debolezze degli altri. E sempre mantenendo il parallelo con Hogan, Wyatt ha proiettato Cena in un universo parallelo in cui è leader dell’NWO. E qui la “piccata” diventa ancor più sottile: In questa proiezione “onirica”, Bray ha paragonato Cena all’Hogan degli anni 98/99. Come Hogan in WCW, Cena è diventato famoso per aver “schiacciato” ogni talento emergente sotto di sé. Se questa non è arte, trovatemi voi una definizione appropriata. Madame de Pompadour sosteneva “après moi le delùge” (dopo di me, il diluvio). E dopo Bray, ci sarà davvero il “diluvio”. Sarà difficile trovare un atleta su cui potrà “attagliarsi” una personalità come portata in scena da Windham, capace di incutere paura, ma anche di stimolare la riflessione dei fan, trascinati con la forza in questo suggestivo mondo immaginifico, fatto di pupazzi parlanti, visioni, luoghi lugubri e luci soffuse. Abbiamo avuto la sfortuna di essere testimoni di una grande perdita, ma siamo stati fortunati ad aver apprezzato le gesta di un atleta a tutto tondo. Solo il tempo ci darà la misura di ciò. Ma già iniziano le commemorazioni, i tributi, gli onori che, a differenza di quelli formali, questa volta sono “sinceri”, profondi. Un posto nell’Arca della Gloria credo gli sia dovuto, giacché un posto nel cuore di ognuno di noi se l’è meritatamente guadagnato.