Il Main Event di Smackdown mi ha lasciato perplesso. Innanzitutto per un finale, confusionario e illogico, che nulla ha aggiunto e nulla ha tolto alla storyline principale. Un incontro, quello tra la Bloodline e Kevin Owens, coadiuvato dagli Street Profits, finito in squalifica. Ma questa è stata una squalifica “strana”; Nessun interferenza esterna a sancire l’illegittimità del match. Nessun oggetto proibito usato contro gli avversari. Neppure un gesto, una manovra o una irregolarità, compiuta dai partecipanti per trarre un illecito vantaggio. Ad un certo punto della contesa, qualcuno scaglia qualcun altro contro i gradini di acciaio, e l’arbitro chiama la squalifica. Forse volevano “venderci” le eccessive interferenze esterne di Tanga Loa come la causa scatenante di questa interruzione, ma l’intento è dei meno riusciti in assoluto. Anche perché, da che Mondo è Mondo, i partner illegali intervengono nella contesa. Sennò, ogni tag team match, diverrebbe una contesa uno contro uno. Insomma, un finale da rivedere, e spero, da non adottare più in futuro.

Ma, oltre ad una conclusione stramba, questo incontro principale della card ha mostrato anche una mancanza di coraggio del team creativo. Nel tre contro tre ci stava una vittoria, magari anche pulita, della Bloodline, la quale ha bisogno estremo di affermarsi come temibile. Invece vince poco, sempre grazie a sotterfugi o vantaggi numerici, e mai in maniera incontrovertibile come il loro status di possenti samoani (e tongani) richiederebbe. Gestire così questo gruppo rischia di proiettarlo come ridicolo, scanzonato. Una massa di manigoldi tronfi e poco furbi. Il Main Event di venerdì scorso poteva fungere da terreno fertile per questa eventualità; Magari, in maniera contestuale, tentare di lanciare in alto anche un altro atleta che, all’ombra di Solo Sikoa e Jacob Fatu, può far bene in futuro: Tama Tonga. Il wrestler ha una personalità distinguibile, abbinata ad una bravura sul ring frutto della sua esperienza (ricordiamo che ha quasi 40 anni, in maggioranza passati a farsi le ossa nei circuiti indipendenti). Un suo schienamento vincente lo avrebbe profilato come terzo membro credibile di questa stable.

 Kevin Owens, che ora starebbe passando nelle fila degli Heel, avrebbe potuto inscenare una rivalità proprio con Tama Tonga, concedendogli magari una vittoria pulita in futuro. Ciò avrebbe prodotto due risultati in una sola botta: Avrebbe evitato un rematch tra il canadese e Cody che non interessa quasi a nessuno. E avrebbe anche, come scritto poc’anzi, reso il figlio di Haku un papabile futuro wrestler su cui poter contare, una volta che si sarà messa a riposo la storia della Bloodline. Invece la decisione di terminare così, senza vincitori né vinti, e senza stravolgere nulla dei piani già scritti, una resa dei conti così importante a Smackdown, ha mostrato quale è il grosso limite che c’è ora nello show blu, ossia la mancanza di coraggio. Coraggio nell’azzardare. Coraggio nel puntare su alcuni wrestler in assenza di un palese riscontro del pubblico. Coraggio nel troncare storie che sembrano prevedibili, e che lo sono, sia nel loro svolgimento, che nella loro conclusione. Una grossa occasione persa per lo show che, forse, per ora è più impegnato a creare siparietti cinematografici tra i suoi uomini di punta, piuttosto che cedere un po’ della loro luce a favore di chi, nell’ombra, continua a lavorare sodo. Nell’attesa interminabile che qualcosa, prima o poi, arrivi anche per loro.