Guardando il confronto tra Cody e Gunther di Smackdown, che getta le basi per il loro match a Crown Jewel, un brivido mi ha percorso la schiena. Vedendo i loro volti, le loro smorfie di rabbia, ascoltando le loro parole e le reazioni della folla, mi sono reso conto di guardare due rivali naturali in procinto di collidere. Non è Roman Reigns, non lo è neppure Owens, il cattivo della storia di Cody. Il suo antagonista, la sua nemesi perfetta, è Gunther. Sia sul piano ontologico che su quello professionale; Hanno due filosofie lavorative contrastanti, due curriculum diversi e due “estrazioni” opposte. Il figlio di Dusty arriva in WWE anche grazie al suo cognome. Trova la porta principale aperta, e sin da subito partecipa alle storyline più importanti di allora. Tuttavia, non essendo pronto al grande palcoscenico (e forse non trovando ancora se stesso sul ring), fa le valigie e cerca fortuna altrove. Ritorna a Stanford da uomo diverso, più maturo e più solido, e forte di un padre ancora così influente sul pubblico nonostante sia scomparso anni prima, ci ricama sopra una storia straordinaria che lo porta a vincere il titolo mondiale, tra gli applausi e la commozione generale. Inclusa la mia.
Gunther, invece, ha tutta un’altra storia alle spalle. Si fa le ossa nelle arene semivuote del suo paese natale. È proprio su quei ring sporchi che capisce già chi vorrà essere da grande: Il lottatore purista austero che incute terrore. È costretto ad emigrare in Giappone per alcuni anni, dove affina la tecnica sul ring, per poi ritornare in Germania, passando anche per gli Stati Uniti. Infine, arriva la chiamata ad NXT UK, dove si fa conoscere da subito per le sue qualità nel quadrato. Il resto è storia recente: Arriva nel Main Roster dopo aver dominato il brand di NXT. Vince il titolo intercontinentale, conservandolo per ben 666 giorni, diventandone anche il più longevo detentore. Infine, conquista anche il titolo mondiale battendo un astro nascente come Damien Priest. Per via della sua storia tribolata, del suo arrivo in WWE sofferto, Gunther non può che essere agli antipodi rispetto a Cody, ragazzo “agevolato” dalla parentela. E il suo rendere merito solo a se stesso per i suoi successi sono l’opposto di ciò che Cody rappresenta, devoto al pubblico quale è, oltre che a chi lo ha aiutato nel corso della sua carriera. L’austriaco è diretto, autoreferenziale e cinico. Rhodes adora invece le orazioni, i giri di parole, riconoscente verso gli altri ed emotivo.
Così come Dusty e Flair, Bret e Shawn, The Rock e Stone Cold ed Hogan e Macho Man, Cody vs Gunther può rappresentare una rivalità distintiva della sua epoca. Perché, così come le rivalità sopracitate, i due sono l’antitesi l’uno dell’altro. Spero che questo loro confronto non sia un unicum, e che possano riprovarci in futuro (magari anche sul più importante palcoscenico dell’anno). Perché il loro diverbio di venerdì scorso, come amano dire gli addetti ai lavori, “profuma di soldi”. Per ciò che concerne invece il loro match in Arabia Saudita, per propiziare un loro futuro confronto, mi auguro la spunti l’austriaco. Anche perché Cody, di questa ulteriore cintura, non ne ha alcun bisogno. Contestualmente, spero di non vedere troppi colpi di scena durante il match, con magari il finale alla “TKO”, con innumerevoli interferenze, musiche di ingresso sparate a palla e l’esito più volte ribaltato (considerato lo screzio tra Gunther e Goldberg, la primula rossa Kevin Owens, Randy Orton, The Rock e compagnia cantante). Si badi che ho scritto finale alla “TKO” non a caso; Ho ascoltato una intervista di The Coach il quale ha spiegato che questo promuovere a caratteri cubitali le partecipazioni d’onore agli show, o lasciando intendere che possano esserci, è in linea con la strategia del colosso imprenditoriale. Non vorrei tediarvi, per cui vi invito a recuperare questo pezzo sul Tubo, che è alquanto illuminante. Questi podcast di wrestling stanno diventando più interessanti degli show stessi.