Baciami! Baciami più forte che puoi. Voglio sentire il tuo sapore. Voglio che la tua saliva si mischi densamente con la mia. Voglio che il tuo copro si stringa al mio. Voglio sentire la scarica elettrica della nostra unione. Mordimi le labbra, afferrami i fianchi e sollevami verso il cielo, fammi girare e fai girare la mia testa. Dolce è il tuo gusto e caldo il tuo respiro.
E’ ciò che si chiede, quando si hanno 19 anni, al mondo. E’ ciò che si chiede al proprio futuro, alla propria vita. E’ ciò che si immagina mentre si vive dentro una stanza, immaginando quello che potresti arrivare a fare di li a poco, di li all’universo. Piccola e talentuosa, anche Hana immaginava gli intensi baci della notorietà. Incorniciava nella sua mente le immagini che avrebbero potuto essere, che avrebbero potuto vederla vincere.
E tanto caldo fu quel bacio. Fu talmente accecante, quel colpo di fulmine col Ring, che non vide più niente, soltanto coriandoli e trofei, amiche trasformate in nemiche, amiche vere, amiche a metà. Denaro, successo, appoggio globale. Suonavano le sirene lontane di qualcosa di ancora più grande, mentre le immagini tanto immaginate, diventavano realtà cosi realistiche. Tutto era bello, tutto era fresco, puro, giovane. Tutto era nella sua testa. Tutto era..
Come quando entrate in un bosco, e in Giappone ce n’è uno molto famoso, dove le vite si spengono e i pensieri negativi arrivano al culmine, e foglie secche al suolo sono la rappresentazione del bellissimo autunno, col sole che scalda il corpo, mentre la brezza allo stesso tempo lo rinfresca. Foglie che a vederle sono stupende, profumate, le caramelle colorate di una favola per bambini, e alla fine, Hana, una bambina è ciò che era.
Ma proprio come tutte le favole, anche quelle foglie hanno dietro una morale, che seppur capace di insegnarci la vita, può essere cruda, dannatamente reale, dannatamente oscura e ferente. Bisogna camminare piano, su quelle foglie, perché se si calpesta troppo forte, ciò che si fa e scoperchiare il marcio, il lezzo della putrefazione, il maligno demone nero della favola. Quel marcio, la piccola Hana, lo scoprì sempre da li, da quella stanza.
C’è chi comincia a denigrare il tuo lavoro, chi ti da della sopravvalutata, chi apprezza solo il tuo giovane corpo, dandoti l’idea che forse dietro quel bacio caldo e dolcemente umido, non c’era soltanto l’intimità accogliente di una vita splendente, ma anche un veleno per il quale l’antidoto è ignoto. Se ce l’hai sopravvivi, se non ce l’hai muori.
E ci provò Hana, che di cognome faceva Kimura, a trovare dentro di se quell’antidoto. Ci provò disperatamente. Ci provò a 20, a 21, a 22 anni. Ci provò fino a quando non capì che la sostanza era talmente tossica da non darle più tempo. Le vene, ormai, erano piene di un liquame scuro, di quelle foglie secche sciolte in una melma densa e soporifera. Troppo pesante, questo successo, troppo giovane, per quel bacio esotico, erotico, affascinante, ma, adesso capiva, anche incomprensibile, per un’età troppo dolce e bianca, che subisce il nero della vita vera.
E quindi si lasciò andare, il 23 maggio del 2020. Troppo tempo in quella stanza, troppo tempo davanti a quel computer, troppo tempo ad ascoltare le voci degli sciacalli. Troppo tempo per una che di tempo, volendo, ne avrebbe avuto un’infinità. Muore una ragazzina, una bambina, a 22 anni. Muore dopo averci soltanto potuto trasmettere la parte buona di quell’indecifrabile bacio, seppur per poco. Muore, forse, cercando di proteggersi e di proteggerci dal lato oscuro di quell’amplesso di labbra, assai lungo e assai corto, allo stesso tempo e nello stesso tempo. Muore lasciando una scia.
Una scia che passerà sopra le nostre teste ogni 23 maggio, come una stella cometa, che non annuncia la nascita di un profeta, ma la rinascita di un simbolo. Perché nel mondo i baci siano sempre e soltanto una cosa bella, perché non resti più il marcio sotto le foglie di un bosco, perché nessuna Hana Kimura, mai più, debba combattere col resto del mondo, sola e triste, in una stanza.