Il podcast di Stone Cold Steve Austin post-Raw è oramai un evento speciale atteso quasi quanto gli ex PPV mensili. Quanto avrà cavato il Texas Rattlesnake dalla rapa più pericolosa del mondo? Più atteso di una riforma pensionistica, ecco a voi l’editoriale odierno!

Personalmente amo i podcast. Sarà percè, per diletto, partecipo nel mio piccolo al nostro caro ZW Radio Show, sarà perchè passando mediamente 3 ore al giorno in macchina sono avido consumatore di file audio selezionati e sarà perchè negli ultimi tre anni vi è stata una proliferazione inaudita di podcast incentrati sul wrestling e condotti da wrestlers: insomma, questo insieme di fattori mi rende un fan abbastanza mark di questa forma di intrattenimento. Mi piace quello di Jericho, ascolto con piacere quello di Colt Cabana, amo quello di Stone Cold e quello di Jim Ross, adoro quello dei Canadesi di Live Audio Wrestling, gradisco non poco quello di Chael Sonnen e sono letteralmente drogato della MMA Hour di Ariel Helwani.

Questa format mi piace per un semplice motivo: lo schema domanda/risposta legato da sempre al concetto di intervista viene leggermente modificato, trasformando il tutto in una conversazione poco legata a schemi predefiniti ma in grado di spaziare dal personale al professionale, da temi inerenti la famiglia a trivialità quotidiane. Pur non avendo diritto di parola, il podcast rende lo spettatore parte integrante della conversazione tra due o più individui: si crea così un livello di “intimità unilaterale” decisamente impossibile da creare nel corso di una più efficace, efficiente ed indirizzata intervista. La differenza tra un podcast buono ed uno scadente è rappresentata essenzialmente da un elemento: il conduttore. Se questi è capace di sfruttare il flusso della conversazione per estrapolare dettagli succosi ed intriganti dal suo interlocutore, beh vuol dire che, a prescindere dal suo talento come intervistatore, è un ottimo podcaster: differentemente dall’intervistatore, visto come elemento “esterno”, il conduttore rappresenta buona parte della conversazione in atto. Ed in questo, devo dire il vero, SCSA è uno dei maestri.

La parte iniziale del podcast è stata un vero esempio in tal senso: abbastanza inutile in certi tratti, ha avuto l’unico scopo di mettere a suo agio una persona come Lesnar decisamente chiusa, ermetica e pericolosamente monosillabica. Il parlare di auto potenti, di caccia, di birra, di DAINI, di heavy metal è stato un (lungo e necessario) preludio per far partire la serie successiva di domande incentrate su temi anche abbastanza scomodi come la sua dipartita post WM XX ed il suo fallimento nella NFL. Fatto sta che da questa intervista, e penso proprio che fosse questo lo scopo iniziale, abbiamo avuto molte conferme e qualche scoperta.

Ciò che non è stato una scoperta è che Lesnar non è assolutamente definibile come zoon politikon. Le persone non gli piacciono, punto e basta…e la sua fisicità, diciamocelo, lo porta anche abbastanza a non essere disturbato. Cresciuto in una fattoria ed abituato sin dalla tenerissima età al concetto lavoro = sacrificio = profitto, Lesnar ha mantenuto esattamente la stessa attitudine di un alacre lavoratore della gleba, semplicemente contestualizzandola all’interno di sfere più grandi e remunerative come la WWE e la UFC. Con discreto successo, aggiungerei.

In un contesto quasi poetico come quello del prowrestling, dove assistiamo ad interviste meravigliose e commuoventi da parte di ragazzi che con enormi sacrifici hanno realizzato il sogno di una vita (Cena, Rock, Bailey, la Banks, Owens, Bàlor etc.) sentire Lesnar parlare di questa passione come di un lavoro è affascinante. Intendiamoci, non dico che questo suo atteggiamento sia da preferire rispetto a quello dei suoi colleghi, tuttavia è un approccio decisamente singolare, appartenente quasi esclusivamente a Lesnar ed a nessun altro. Per sua stessa ammissione, Brock non ha grossi legami quasi con nessuno dei suoi colleghi, non tiene particolarmente ad instaurarne di nuovi e si approccia alle sue apparizioni sporadiche come un operaio (milionario, ma va beh) che si presenta in fabbrica: timbro, lavoro, ritimbro.

La domanda sulla fine della streak, in questo senso, è stata abbondantemente significativa. Anziché la risposta che mi stavo figurando in testa anticipando l’audio, qualcosa del tipo “è stato l’onore più grande della mia vita, più del Titolo UFC vinto contro Randy Couture, più del primo Titolo WWE vinto a 25 anni” Lesnar ha risposto in modo razionale, quasi asettico: oggettivamente non c’è nessuno che al mondo abbia le mie credenziali, dunque è giusto che fossi io a collezionare questo alloro. Beh, per quanto sterile come ragionamento c’è da dire che non fa una grinza.

Un'altra risposta ampiamente significativa è stata data quando è subentrato l’argomento del match non annunciato (e mai avvenuto) tra SCSA e Lesnar, in occasione del quale Steve rifiutò di concedere un job in modo assolutamente improvvisato ad un giovanissimo Brock, con un no show che allora mandò su tutte le furie il Chairman Mc Mahon. Anche in questo caso, la Bestia fornisce una risposta da contabile: in una situazione analoga avrebbe fatto la stessa cosa, alla luce della mancanza di rilevanza alla base di un main event non annunciato.

Discorso simile anche per quanto riguarda la situazione che venne a crearsi a Wrestlemania XX: in occasione del dream match contro Goldberg oramai passato alla storia per l’atmosfera surreale che venne a crearsi, Lesnar mette in chiaro nel corso del podcast che all’epoca non glie ne fregava assolutamente nulla di Vince, del wrestling, dei fan. In quel momento storico Lesnar voleva andare via, non rinunciando ad alcuna passione ma semplicemente esplorando nuove frontiere economiche da sfruttare.

Lesnar è un brillante mercenario. Un irresistibile Krumiro. Un abile venditore di aspirapolveri a cui proprio non si può dir di no. L’aura che Lesnar emana in modo quasi inconsapevole è anche frutto di questo suo atteggiamento così non al di sopra delle regole, ma nel contempo al di fuori delle stesse. Lesnar non funziona come il wrestler generico medio, per il semplice fatto che non lo è: Brock è un’attrazione speciale che solo il più alto offerente può permettersi, ed è uno dei rarissimi casi in cui manager e fenomeno coincidono, creando una miscela economicamente esplosiva.

Che posso farci…a me Lesnar piace così e non vorrei che fosse minimamente diverso: la sua particolarità quasi patologica lo rende unico, inimitabile, imperdibile.

Danilo