I bambini che oggi si affacciano al Professional Wrestling sono gli stessi che fra qualche anno ricorderanno con tenerezza le sensazioni che le immagini gli danno. Sono quelli che se la WWE scomparirà dai nostri teleschermi ricorderanno emozioni che non vivranno mai più, perché soltanto a certe età si possono avere certe reazioni e certe sensazioni. Quando quelli della mia età erano bambini, hanno sofferto non poco l’assenza del nostro amato sport spettacolo dalle televisioni, e per un sacco di tempo, almeno fino all’avvento dell’adsl ed ormai cresciuti, hanno masticato e sviscerato quelle immagini rimaste impresse negli occhi e nella mente, cercando di sperare, un giorno, di poter ritrovare in un’edicola quel pacchetto di figurine ormai svanito da tempo, di poter ritrovare, magari all’una di notte, una replica di quella puntata di Wrestling Challenge, o di scoprire che un amico conservava ancora una vecchia videocassetta.
Nel 1995 avevo quasi undici anni ed ormai l’allora Fininvest aveva salutato la World Wrestling Federation. Ciò che mi restava era un album di figurine senza copertina, ormai distrutta dalle migliaia di volte che è stato sfogliato e, come dicevo, delle immagini nella mente. Principalmente erano due, probabilmente perché erano due lottatori che raramente si vedevano e che, per gli occhi di un bambino, erano affascinanti e particolari, considerate le loro maschere. Quei due Wrestler erano Black Phantom e Kwang.
Black Phantom era un lottatore bello pesante, che non sapeva volare e non aveva particolari doti tecniche, ma che chissà per quale motivo, io ricordavo longilineo e acrobatico. Non era cosi, quello che però era vero, senza alcun dubbio, era che Black Phantom era anonimo, con un paio di pantaloni neri ed una maschera nera, e soprattutto perdeva di continuo. Un Jobber e niente più, ma negli sconfinati fogli da me scritti con i nomi ed i Match inventati, non mancava mai.
Kweng era leggermente diverso, perché in realtà era molto più colorato, o almeno io inspiegabilmente lo ricordavo cosi. Attirava comunque di più un bambino, saliva sul Ring con una specie di armatura che poi toglieva dalle spalle e anch’egli portava una maschera, rossa nella mia mente ma che in realtà alla fine era quasi completamente nera. I miei ricordi di Kwang erano di un lottatore non molto alto, con un fisico scolpito e rapido, ma sopra ogni cosa, che sputava il suo letale liquido colorato. La verità poi è un’altra, è che Kwang era un lottatore non molto alto, è vero, però il suo fisico non era affatto scolpito e nonostante buone doti atletiche, non era niente di trascendentale. Almeno lui qualche volta vinceva.
Per tanto tempo ho conservato quelle immagini, fino a quando è tornato il Wrestling in TV, fino a quando i primi video in internet permettevano di assaporare alcuni incontri per fotogrammi. La passione si ravviva e cosi in tanto tempo si riscoprono e si ricordano certi particolari ed aspetti. Per esempio si ricorda di quei due lottatori chiamati Black Phantom e Kwang. E scopri che il primo, Black Phantom, lottava in WWF i suoi primi incontri in quel periodo della tua infanzia, che era un Jobber perché si sarebbe fatto con il tempo e che oggi è Leader di una Stable di vampiri, è biondo e non poco Over. Edge e Christian sono i suoi sodali e lui si chiama David William Heath, meglio conosciuto come Gangrel.
Scopri poi, continuando a spulciare in quei ricordi e nelle pagine della nuova invenzione che ha rivoluzionato l’intero globo, che Kwang, proprio come Black Phantom, esisteva davvero, non era frutto di lunghe ore a sperare che il Wrestling tornasse in TV. Scopri che anche lui oggi è il Leader di una Stable, che ha avuto faide importanti, come Stone Cold Steve Austin, che non è affatto orientale come immaginavi, ma in realtà è portoricano e che attorno a lui ci sono i Los Boricuos. Scopri che si chiama Juan Rivera, ma tutti lo conoscono come Savio Vega.
Crescendo si scoprono tante cose, le favole diventano obsolete, le immagini si chiarificano e tutto assume una dimensione nuova. Però quelle sensazioni non si devono dimenticare. Le emozioni che i lottatori ci hanno fatto vivere, anche se questi non erano che Jobber, devono restare dentro di noi, perché soltanto cosi resteremo sempre un po’ Mark, un po’ vittime di quella credenza che ci permette di finire davanti alla TV o ad un PC ogni qualvolta c’è uno spettacolo da guardare. Per me, nella parte della mia mente che si rifiuta di crescere, non esisterà mai l’evoluzione di Gangrel o di Savio Vega. No. In quella parte del mio cervello vivranno sempre, come entità irraggiungibili ed inimitabili, Black Phantom e Kwang.