Nelle facce del pubblico seduto nelle arene di tutta America, spesso vediamo noi stessi. Guardiamo il video come se stessimo guardando uno specchio. Osserviamo in loro le nostre stesse espressioni, i dettagli del viso, la voglia di urlare, l’incapacità di reagire. Le emozioni che ci regala il Professional Wrestling sono sane, belle, naturali. Oggi però, nel 2017, un momento nel quale abbiamo visto praticamente tutto e nel quale gli animi della gente sono talmente abituati a non stupirsi più di niente, non solo in questo ambito ma anche in cose ben più serie, i colpi di scena sono ancora più forti e disarmanti.
E’ stato il caso di Jinder Mahal, per esempio, secondo indiano della storia della World Wrestling Entertainment a vincere un titolo assoluto. E’ stato il caso, anni fa, della vittoria del titolo WWE da parte di Sheamus, che non solo vinse, ma sconfisse un mostro sacro come John Cena, all’apice della sua dominazione. E’ successo poi, come tutti ricordiamo molto, molto bene, quando a Wrestlemania 30 Brock Lesnar ha interrotto la Streak. La famigerata Streak. La striscia di vittorie che Undertaker si era costruito lungo la sua carriera in quel del Granddaddy of Them All.
Ci fu un tempo però, nel quale la folla rimase esterrefatta esattamente allo stesso modo, o forse più. Era un’altra epoca, un altro Wrestling, un altro modo di approcciarsi al mondo ed alla disciplina. Le emozioni del nostro amato Show però, quelle non cambiano, anche se i protagonisti sono diversi, meno belli, meno lucidi, meno abbronzati. Le emozioni non cambiano, quando la sorpresa è vera.
Era il 1970. Il mondo del Wrestling era ormai un fatto certo. Sia negli Stati Uniti che in Giappone, passando per il Messico, le culture più attaccate alla disciplina erano ben sviluppate e già forti. Ogni luogo aveva il suo eroe. Ogni compagnia il suo portabandiera. Nel caso degli Stati Uniti e della World Wide Wrestling Federation le due cose coincidevano. L’uomo in questione si chiamava Bruno Sammartino. L’italiano era campione della compagnia di Vince McMahon Sr ormai da sette anni e mezzo, aveva vinto la cintura infatti, il lontanissimo 17 Maggio del 1963 e sembrava agli occhi di tutti inarrestabile. Una macchina da guerra devastante, uno schiaccia sassi che sapeva quando infiammare le folle, mantenere la Kayfabe, violarla o andare addirittura oltre. Chiedete ad Antonio Inoki, o a Buddy Rogers. Bruno Sammartino però, era anche un professionista. Sapeva che aveva avuto tanto dalla compagnia ed era pronto a restituire il favore, se di fronte a lui avesse trovato un avversario degno. Ne trovò ben due, ed accettò un programma che può essere considerato come il primo vero regno di transizione della storia.
Si affacciava al mondo del Pro Wrestling infatti, un ventinovenne portoricano che nonostante una carriera lunga già più di dieci anni, soltanto adesso mirava a palcoscenici importanti, come la NWA e la WWWF appunto. Fu Vince McMahon Sr, scopritore di talenti inimitabile, a prelevarlo dalla Mid South Promotions, costola hawaiana della National Wrestling Alliance. Immediatamente capì che aveva fatto benissimo e decise che per dare una scossa al mercato, avrebbe dovuto far abdicare Bruno Sammartino proprio nel momento in cui si era cementificato il suo dominio, quando nessuno, ormai, pensava che avrebbe potuto perdere quella cintura, alla sua vita ormai quasi da otto anni.
A quell’epoca però il business funzionava diversamente. I Turn erano una cosa abbastanza difficile da portare in scena e nonostante ci fossero, si preferiva lasciare ai vari Character, o forse dovremmo chiamarli uomini, dato che spesso e volentieri le due cose coincidevano, il proprio essere ed il proprio io per tutta la carriera. Bruno Sammartino era un eroe e tale doveva restare, anche perché il suo orgoglio, con tutta probabilità, non gli avrebbe permesso di accettare un simile sviluppo.
Cosi McMahon si trovò di fronte ad un problema: come far passare la cintura da un “volto buono” amatissimo e rispettato come Bruno Sammartino, ad un altro “volto buono” in ascesa senza rischiare che quest’ultimo venisse bruciato dall’amore per il primo? Entra in gioco qui il terzo Wrestler protagonista di questa storia: Ivan Koloff.
I vertici della World Wide Wrestling Federation assunsero Koloff, The Russian Bear, sul finire del 1969. Il ruolo del lottatore canadese negli anni precedenti era stato quello del diabolico russo, un Character che in quegli anni spopolava negli Stati Uniti, perché mentre sui Ring si giocava, le due potenze mondiali andavano a sfiorare il conflitto nucleare ad intervalli regolari. I russi erano il diavolo per ogni singolo americano e i lottatori non facevano eccezione. Ivan Koloff era bravissimo a fare l’Heel, era un buon Worker, era giovane e soprattutto era detestato.
Vince McMahon Sr trovò l’accordo con Bruno Sammartino, che ben volentieri decise di cedere lo scettro in favore di un lottatore più giovane di lui che avrebbe dovuto raccogliere la sua eredità, ma il tutto passando per Koloff, l’uomo che lo avrebbe, di fatto, messo al tappeto.
E cosi fu..
Era il 18 Gennaio del 1971, al Madison Square Garden di New York City, New York. La folla riempie lo storico palazzetto. Tutti attendono di vedere un altro incontro di Bruno Sammartino, l’eroe italiano, quello che per gli ultimi otto anni ha convinto tutti di essere il migliore, il più forte, l’uomo senza rivali. L’incontrò cominciò fra le urla della gente che l’unica cosa che si aspettava era di vedere Sammartino respingere tutti gli attacchi di Koloff, uscire dalle sue prese, dalle sue sottomissioni, dai suoi tentativi di schienamento. Si aspettavano di assaporare ancora una volta la gioia della vittoria del buon Bruno, che come sempre, da un momento all’altro, avrebbe messo a terra Ivan Koloff rimandandolo nelle lande desolate della Siberia insieme al suo Manager Captain Lou Albano.
Ma non fu quello che successe, perché Ivan Koloff, the Russian Bear, dopo un Flying Kneedrop sconfisse Bruno Sammartino diventando il nuovo campione del mondo dei pesi massimi della World Wide Wrestling Federation. Era finita un’era. Era finito un regno che aveva praticamente caratterizzato quello che potremmo definire l’inizio della WWWF, o se volete della WWE. Si era rotto per la prima volta un dominio che era più che una variabile un parametro, ma che come spesso accade nei sistemi più complessi, reagisce al cambio dei tempi senza tenere conto delle impostazioni iniziali.
Quello che restò nei secondi successivi, fu quello che restò quarantatre anni dopo nel Mercedes Benz Superdome di New Orleans, Louisiana, quando Undertaker non uscì dal conto di tre, per la prima volta, a Wrestlemania.
Quel giorno però, non deve essere ricordato come un giorno buio. Quel giorno per la prima volta ci trovammo di fronte a quello che si può considerare a tutti gli effetti un campione di transizione, nel vero senso del termine, non nel senso che gli si da oggi sbagliando. Ivan Koloff fu un Heel, un grande Heel, che diventò campione del mondo contro un Face cosi da poter poi scaricare quella cintura su un altro Face, poco dopo, e lo fece.
Il 18 Febbario del 1971, infatti, Ivan Koloff perse la cintura contro quel giovane portoricano di cui si parlava sopra e che si chiamava Pedro Morales. Morales fu quindi il vero erede di Bruno Sammartino, raccogliendo il suo testimone e portandolo con se per un regno di quasi tre anni, che si interromperà in favore di un altro campione di transizione, Stan Stasiak, altro Heel che riconsegnerà la cintura di campione del mondo nelle mani di Bruno Sammartino, chiudendo un cerchio cominciato nel 1971.
La storia è importante, anche nel Professional Wrestling. Ci fa capire sempre e comunque l’inizio dei movimenti, le scoperte delle persone, la necessità che ha portato ad un metodo. Ci fa capire inoltre, che nel 1971 o nel 2017, che con un Wrestler peloso, sporco e brutto, o con un campione tirato a lucido, dal fisico perfetto e bello, le emozioni non cambiano, perché le emozioni non hanno occhi, si sentono, si masticano, si divorano. Questo, la famiglia McMahon, lo ha capito benissimo. Lo fa per soldi? Forse. Ma forse fa i soldi perché sa fare queste cose. Questione di punti di vista, sta di fatto che noi fan di Wrestling c’eravamo allora, a strapparci le camice, e ci siamo anche oggi.