Lo aveva visto nei suoi viaggi di da Talent Scout Bruce Hart. Hart riteneva i viaggi in Inghilterra sempre abbastanza fruttuosi, ma mai come in quell’occasione rimase impressionato da due ragazzi in particolare: David Boy Smith e Tom Billington. Comincia qui, fra sogni e speranze, il viaggio nel mondo del Pro Wrestling mondiale per entrambi, cugini e compagni.
Ted Betley era stato il loro primo allenatore e adesso si ritrovavano in Canada, nel famigerato Dungeon, ad ascoltare Stu Hart. Sembrava Tom il più propenso a sfondare, il più attivo, il più dinamico, il più intraprendente. Nel corso degli anni però, abbiamo imparato che in certi ambienti, certi fisici, funzionano di più che la qualità pura. Per questo, quel ragazzo inglese con un secondo nome cosi buffo, “Boy” , diventerà uno dei nomi più conosciuti ed importanti di quegli anni d’oro a cavallo fra la fine degli ottanta e l’inizio dei novanta.
La sua gloria nasceva dai Match di coppia proprio con Tom Billington, suo cugino, si facevano chiamare British Bulldogs, appellativo che poi rimarrà al solo Davey Boy. Giravano il mondo, dall’Inghilterra, loro terra d’origine, al Canada, dagli Stati Uniti al Giappone. E fu proprio in Giappone che ricevettero la prima chiamata di Vince McMahon, che un po’ come in tempi modernissimi, accettava di bookare Wrestler nonostante questi avessero ancora date e contratti da onorare nelle altre compagnie, nel caso specifico, la New Japan Pro Wrestling.
Il primo Stint nella World Wrestling Federation fu in Tag Team per Davey Boy, e per qualche anno calcò i Ring senza troppa popolarità né troppe spinte. Andò via quindi, tornò in Canada, ma non era un addio, era solo un arrivederci. Intanto si sposa con Diana Hart, figlia del suo più importante allenatore, Stu, e grazie alla crescita notevole del suo fisico, riceve una nuova chiamata da parte di Vince McMahon, nel 1990, stavolta da solo. Tom infatti, cominciava a stare male, anni di infortuni e medicine avevano sensibilmente deteriorato il suo fisico ed ora, Davey Boy, era rimasto orfano del suo compagno di sempre.
Ed è in questo momento, quando la gloria sta per arrivare, che The British Bulldog fa un bilancio della sua vita. Tommy si è dovuto fermare, lui continua, ma si sente una bomba, capisce che prima o poi esploderà. Troppi antidolorifici, troppi steroidi, troppi Match. Le cose non vanno bene nemmeno con sua moglie, e nonostante il piccolo Herry e la piccola Georgia, il matrimonio sembra destinato a finire.
Questo suo stato d’animo però rimane nascosto. La World Wrestling Federation prova a credere in lui e lo spinge, un po’ per la sua popolarità negli Stati Uniti, un po’ per quella in Giappone ed un po’ per aumentare l’allargamento del mercato inglese ed europeo in generale. E Smith è uno dei protagonisti. Infatti, anche nel vecchio continente, e nella fattispecie in Italia, British Bulldog è uno dei favoriti, dei più conosciuti ed amati. Impressiona il suo fisico, attira quel mantello con la Union Jack, fa simpatia il suo piccolo Bulldog, Matilda.
Poco prima della grande consacrazione però, Bulldog esce allo scoperto, lo fa con suo cognato Bret Hart. Non vuole più combattere, non ce la fa più. Ha paura. Bret cerca di spronarlo. Gli comunica il programma che la WWF ha per loro, soprattutto per lui. Un Match per il titolo intercontinentale fra loro due, a Londra, sarà il Main Event di Summerslam, e sarà a Wembley. Davey Boy è incerto, sa che sarebbe l’occasione che aspetta da tutta la vita, ma tutte quelle pastiglie non danneggiano sono il fisico, annebbiano anche la mente.
Alla fine Davey Boy decide. Combatterà. A casa sua. Davanti al suo pubblico. In uno degli eventi più importanti della storia fino a quel momento. Mai decisione fu più giusta.
Giusta perché Davey Boy si consacrò come uno dei grandi nomi del Pro Wrestling mondiale. Fu giusta perché nonostante non abbia mai vinto un titolo del mondo, quel Main Event, quell’incontro, gli consegnò le chiavi dell’olimpo. Sconfisse il campione intercontinentale dopo un Match a cinque stelle. Sconfisse un uomo che gli era accanto da tanti anni, che aveva vissuto e si era allenato con lui, che era il fratello di sua moglie. La stessa moglie che in quell’occasione sali sul Ring ed abbracciò entrambi, marito e fratello.
Con Diana le cose si misero a posto. British Bulldog lasciò dopo poco la WWF, ma fu una decisione serena, tornerà infatti dopo poco più di un anno, e lo farà in grande stile, con un grande Push ed una grande visibilità. Wembley gli regalò il suo sogno, la chiusura del suo cerchio e forse, dopo quell’incontro, le cose sembrarono cosi facili che Davey Boy, non si rese conto che alla fine non era cambiato nulla.
Non era cambiato nulla perché le sue abitudini non erano cambiate. Continuava, nonostante il maggiore potere contrattuale e il diritto di prendersi le sue pause, ad imbottirsi di Painkillers, a gonfiarsi di anabolizzanti, arrivando incredibilmente ad una dipendenza da morfina dopo il suo ultimo infortunio alla schiena. Nel 2000 poi, tutto si fece più buio: il divorzio da Diana arrivò sul serio, e con Diana se ne andò l’affidamento dei figli.
Forse Davey Boy doveva toccare il fondo per rendersi conto che avrebbe dovuto cambiare la sua vita. Ci provò, ed in parte ci riuscì. Davey entrò in un programma di riabilitazione promosso da Vince McMahon, che lo lasciò libero dai suoi vincoli contrattuali e cercò di aiutarlo, forse per lavarsi la coscienza, è vero, ma comunque lo fece. Davey Boy lasciò il programma di recupero pulito, e pulito, stando a ciò che rivela Andrea Redding, la sua fidanzata dell’epoca nonché ex moglie di Bruce Hart, l’uomo che lo portò negli Stati Uniti. Un’epoca che andò dal 2000 a quel tragico 18 Maggio del 2002.
British Bulldog muore per un attacco cardiaco. Muore con la sua fidanzata accanto. Muore chiedendo perdono, non solo a lei, ma anche a tutti coloro che lo hanno sempre cercato di aiutare e confortare. Bruce Hart, Bret, Stu e tutta la famiglia. A Tommy, alla sua ex moglie Diana e soprattutto i suoi bambini, ormai non più tanto piccoli, che con 17 e 15 anni, capiscono benissimo che il loro padre aveva sbagliato troppo per non pagare il conto più salato di tutti.
La storia di British Bulldog è un po’ diversa dalle altre. Davey Boy infatti, non è mai stato davvero solo. Non ha dovuto morire senza qualcuno accanto. Non se n’è andato senza ottenere nulla dal lavoro e dai sacrifici di una vita, leciti e non. Ha pagato come tutti è vero, ma possiamo ricordarlo con un sorriso, perché ha davvero fatto ciò che ha voluto, vittima degli eventi, questa volta, fino ad un certo punto, fino ad una certa misura. Io, e tanti come me, non dimenticheranno mai quel lottatore. Mai, nelle nostre vite, saremo affascinati da qualcuno come lo siamo stati da quel personaggio colorato, muscoloso, quasi invincibile, che sopra una corazza d’acciaio, nascondeva però un anima di carne ed ossa, proprio come chiunque.