A vederlo da fuori, sembra una baracconata nella baraccopoli. Le strade sono fatte di terra. Umido fango nel quale affondano le ruote delle vecchie motociclette e dei furgoni per trasportare persone e merci. Le case sono fatiscenti, tutte uguali fuori. Si alterna, a seconda delle credenze, la loro mobilia. In alcune crocifissi piccoli, grandi, medi. In altre serpenti di pietra, di legno. Serpenti di carne e sangue. La polvere è una tenaglia quando non piove. La melma è una sabbia mobile quando lo fa.
C’è un grande caos per le vie. Voci e grida in quelle piccole, motori e fumi in quelle grandi. Per arrivare al punto di ritrovo si deve attraversare gran parte del quartiere a piedi, aggirare il muro di cinta e passare per un piccolo corridoio, due metri al massimo, che visto da lontano non sembra nascondere niente di diverso dal resto della città. Nel momento nel quale si entra nella piazza, anche questa nient’altro che polvere col sole e fango con la pioggia, sembra di sfondare una porta invisibile, fra la ressa, fra le grida di paura e di giubilo.
Si crede in qualcosa anche qui, in una città di 17 milioni di abitanti nel bel mezzo dell’Africa. E’ storica, questa città. E’ storica per il mondo della lotta. Era il 30 ottobre del 1974. Un altro tempo, un’altra epoca. La lotta nella giungla, con la gente che gridava Alì Uccidilo,e sul ring il vecchio Mohammed sconfisse George Foreman rivoluzionando il suo modo di combattere per la prima volta. E diventò campione del mondo. Eravamo in Zaire, a quel tempo. Oggi, invece, siamo nella Repubblica Democratica del Congo.
Dentro le mura la calca è incredibile. Le persone urlano in lingue diverse, dialetti sconosciuti. Pronunciano formule magiche, agitano amuleti, respirano lezzi oscuri che bruciano piante e carni. Se ti fai spazio fra la folla, puoi arrivare a vedere che cosa c’è. Le corde non sono tese esattamente come sotto i riflettori di primo livello. Il tappeto non è cosi rumoroso e morbido. No. Però in mezzo a quella calca, c’è proprio un Ring.
Sul quadrato ci sono due uomini e una donna. Uno di loro è un arbitro, che però loro preferiscono chiamare moderatore nella loro lingua. Il ragazzo ha un libro in mano, che lascia soltanto quando la sfida comincia. La ragazza si muove poco e lentamente, e spesso muove le anche come se fosse posseduta da un demone. L’azione è poco fisica, inizialmente, e quando lo diventa, e il ragazzo ad avere la meglio. Ma non sarà lui a vincere. Sciolti i capelli e abbassata la testa, la donna tira fuori qualcosa dal suo costume, una specie di bastone intagliato, una figura scura e lucida. Alza le mani, il suo avversario si blocca e viene poi scaraventato dall’altra parte del quadrato. Afferra il suo libro e lo impone alle mani dell’avversaria. In un gioco di energie, alla fine è lei ad avere la meglio. Lui cade, in trance. La donna scende dal Ring, prende un pugnale, torna su e slaccia i lacci dei pantaloni del malcapitato. Infila dentro il pugnale e strappa il suo membro, sollevando al cielo, per poi bruciarlo e mangiarlo. La folla comincia a gridare, a correre, l’ingresso si intasa mentre le persone si accalcano pronte a scappare, con la strega che scende dal Ring per portare la sua possessione su tutti. Questa notte ha vinto il male, questa notte ha vinto la tradizione.
Quando vai via, ignorante e stupido come il più classico dei membri del primo mondo, tanto lontano da qui, pensi di aver appena assistito a una mutilazione in piena regola. Credi che quella città, quella nazione, quel continente, siano davvero gli ultimi, i più antichi, i più selvaggi. Se decidi però, di tornare la volta successiva, potresti capire, o almeno cercare di farlo.
Potrebbero spiegarti che il Wrestling occidentale fa leva sulle proprie incomprensioni, sui problemi della sua società. Potrebbero spiegarti che mantenere una tradizione, proprio come si fa in Giappone, o in Messico, è una cosa importante per un paese, per un popolo e per un movimento. E magari potresti capire perché, quella volta, avevi visto una ragazza strappare la virilità a un avversario. Perché questo è il loro mondo. Sei incredulo? Si. Sei disgustato? Certamente. Ma il mondo è un misto di cose diverse, tutte, a loro modo, rispettabili.
Perché se il luminoso Seth Rollins può cavare un occhio a Rey Mysterio, la Regina Shakira può strappare le carni di Fender. E’ forse più vero, diretto, impattante. E’ un’altra cultura.
E allora, dopo aver capito, cerchi di scoprire quale sia il sentimento che spinge tutto questo. Che cosa c’è da una parte, che cosa c’è dall’altra. Scopri che c’è una palestra a cielo aperto, dove decine di giovani sfuggono al degrado atroce di uno dei paesi più instabili del mondo, praticando la lotta, praticando il Wrestling. Stanno tutti seduti in cerchio, mentre in due, o al massimo in tre, si allenano al centro. Scopri quanto sia importante per loro, soprattutto. Ti rendi conto, mentre uno di loro si allena, che quelli come lui, o come la Regina, sono chiamati Witch Wrestler. Rappresentano la cultura più profonda di quella zona dell’Africa. Rappresentano gli stregoni che nel corso dei secoli hanno dominato le loro tribù, aiutando e punendo il loro popolo. Capisci che anche li, come in tutto il mondo, la cultura è però andata avanti e scopri quanto pericoloso può essere trovarsi nel mezzo di due fazioni cosi diverse, e pensi che sarebbe facilissimo, se fossi un generale militare con un po’ di denaro, scatenare una guerra civile, armando gli uni, o magari gli altri. Il Wrestling può aiutarti a capire tante cose, proprio così. Però il Wrestling può anche dare uno sfogo a queste differenze, e non fraintendetemi, può essere pericoloso lo stesso.
Può esserlo, perché un Witch Wrestler è allegorico, può sembrare ridicolo, strappare un sorriso. Vedi che quel sorriso può creare astio, fomentare odio, far volare parole e accuse. Tutti si alzano, le due forze sembrano sul punto di affrontarsi. Le donne piangono, i bambini gridano e scappano, la tensione puzza nell’aria. Fino a che uno, il più importante, parla: “Il Ring dirà chi crede nella verità”. Scopri che sei stato sempre preso in giro. Scopri che te l’hanno fatta credere, perché eri di fronte a un Work. Era un Angle. Era il pretesto per tornare il giorno dopo in quella piazza di fango, su quel Ring fatiscente e scoprire chi è migliore: colui che crede Gesù Cristo, arrivato a strappare agli stregoni il loro potere e i loro dei-demoni, o chi in questi dei-demoni vede ancora l’unica salvezza per un mondo giusto.
La battaglia apre lo spettacolo. Anche stavolta, sul quadrato, c’è un uomo con un libro, e anche stavolta un uomo con strani amuleti, serpenti che risalgono bastoni, attorcigliati come ci si attorciglia alle proprie radici. Prima di cominciare, l’uomo solleva il libro, lo mostra e chiede: “Dov’è il potere?”. La folla, quella dalla sua parte risponde: “Gesù Cristo”. Il Witch Wrestler ci prova, ma stavolta non c’è speranza. Il potere della fede moderna sconfigge la tradizione, portando avanti una lotta che rappresenta la più profonda radice di un popolo.
Non si vive di Wrestling a Kinshasa. Non si vive di Wrestling nella giungla nella quale Mohammed Alì diventò campione. Però si combatte ugualmente. Perché prima ancora del denaro, c’è qualcosa che porta gli uomini a rappresentare il bene che sconfigge il male. Non c’è bisogno che si passi la voce, da El Santo a Rikidozan, da Buddy Rodgers a la Regina Shakira, la lotta nasce da sola, diversa, ma sola, come alberi della stessa famiglia, specie diverse in paesi diversi. Anche questo è Wrestling, forse un po’ meno Pro, anche nell’angolo più dimenticato, aihmé, del mondo. Non dimenticatelo mai, non siamo fan di un mondo luminoso, siamo fan di un movimento, anche dove i neon lampeggiano difettosi, e nessuno indossa una maglietta di Hulk Hogan o fa finta di aver paura di Papa Shango.