Pochi giorni fa mi hanno chiesto perché difficilmente nelle storie che racconto ci fosse un lieto fine. Ecco la risposta. Perché è facile scrivere e ricordare di eventi belli che hanno portato a grandi vittorie, carriere soddisfacenti, cuori colmi, lieti fine appunto. Ma per entrare nel profondo di quello che questo business è, per capire davvero a quali conseguenze può portare l’inseguire un obbiettivo, bisogna passare per il marcio che si crea e si deposita sul fondo, per poi tornare a galla quando la bottiglia viene agitata con troppa violenza.
Ecco la risposta, la morte di Balls Mahoney.
Non posso, non ci riesco. Non riesco a fregarmi della morte di una persona per la quale ho goduto davanti al televisore, anche se avevo pensato ad altro per oggi. Anche se mi ero riproposto un “lieto fine”, in un’alternanza che purtroppo, quando difetta, lo fa sempre dal lato oscuro della tolleranza.
E’ morto il giorno prima del diciannovesimo anniversario del primissimo PPV della Extreme Championship Wrestling, Balls Mahoney. E’ morto per una caduta, Jonathan Rechner. E’ morto dopo aver versato lacrime amare non tanto per i suoi traguardi On Ring, perché lui è sempre stato un uomo dalle poche pretese, un bravo ragazzo e compagno, si dice, un amabile amico. Ha versato lacrime amare per tante altre persone scomparse prima di lui e che con lui, nel bene o nel mane, avevano condiviso vita e speranze.
Aveva pianto per Louie Spicolli, il suo avversario in quel primissimo PPV della Extreme Championship Wrestling, morto soffocato nel suo vomito a 28 anni. Luoie aveva smesso con la droga, ma poi il cancro di sua madre lo aveva spinto dentro un’altra volta. Balls pianse. Aveva pianto lacrime amare nel 2005, quando all’età di 33 anni lo lasciava il suo grande amico Chris Candido, morto, aihmé, per una complicazione dovuta ad una operazione fra caviglia, tibia e perone, per un infortunio procuratosi in uno Steel Cage Match a Lockdown. Balls pianse. Ed anche se alcuni dicono di no, Ballas Mahoney ha pianto anche qualche tempo fa, quando un altro pezzo della Extreme Championship Wrestling, che con lui aveva diviso il divisibile nelle sorti di quella promotion, Axl Rotten, ha lasciato questo mondo dopo mesi di redenzione e scuse, tardive, forse. Ma Ballas, pianse ancora.
Oggi chi piange sono coloro che di Balls hanno un profondo ricordo. Da Carlos Colon a Jim Cornette, da Vince McMahon a Paul Heyman, da Larry Sharpe a Spike Dudley. Dai fan dell’estremo a quelli ordinari, dagli americani agli europei. Anche io. Anche io, che mi sento sempre cosi ripetitivo nello scrivere. Sempre di fronte ad una tastiera a cercare di trovare le parole giuste per descrivere e ricordare degli uomini che spesso e volentieri hanno avuto una vita di fortune, ma condita di eccessi. Una vita di lodi, circondata da ombre. Forse sono io che la prendo troppo sul serio ogni qualvolta qualcuno se ne va. La morta non è altro che un dettaglio naturale sopra l’evoluzione della specie, una normalità . Mi chiedo se devo continuare a ricordare quei nomi che oltre a non dire niente ai più, non lasceranno, forse, un segno indelebile nel sul Professional Wrestling né tantomeno sul mondo.
Me lo chiedo, e mi rispondo. Devo farlo ancora, devo farlo sempre. Perché sono quelli come Balls Mahoney che regalano la forza e la voglia di poter cambiare qualcosa a chi sale dalle profondità putride delle città , a chi non ha occasioni perché la vita e la società gliele nega, a chi scopre che per un’ora alla settimana si può essere dio, se solo si ci mette d’impegno. Balls Mahoney è una di quelle persone che rappresentava tutto questo. Il suo ruolo nel mondo e nel Wrestling era piccolo, ma fondamentale, perché se non ci fosse stato lui, e con lui altri, non ci sarebbe uno scheletro che da la vita a quella catena di eventi che spingono le persone a guardarsi intorno senza disperarsi, nemmeno in situazioni che disperate lo sono, e molto di più.
Aveva 44 anni e ci lascia dopo ossa rotte, sangue versato e decine di chili persi negli ultimi anni. Senza più tanti denti nella bocca, tanti capelli in testa o sangue nel cuore. Come molti, come moltissimi. Noi, io, me lo ricorderò sempre con la stessa immagine, con una sedia in mano pronto a distruggere chiunque gli si pari davanti, e lo saluto sperando che abbia la forza per chiudere le porte del paradiso una volta entrato, cosi che per almeno un po’ di tempo, nessuno abbia fretta di entrarci.