Non è la prima volta che si parla di Ultimate Warrior in queste pagine. Non è la prima volta che ne parlo io personalmente. Le scorse volte abbiamo parlato del suo modo di rapportarsi all’ambiente e ai colleghi, e considerando le testimonianze non abbiamo che potuto riscontrare una scorrettezza piuttosto radicata nel suo carattere. In un’altra occasione abbiamo invece ribadito la verità, quando, in occasione della sua morte, il revisionismo storico voleva farlo passare per l’uomo più tenero e amabile del mondo.
In questa occasione invece, affronteremo un altro argomento, un’altra storia. Una storia che si, ci porta ancora una volta a valutare la stranezza del suo essere, ma che, per fortuna, non ha fatto niente di male a colleghi, compagnie o fan. Parleremo del suo “talento nascosto”, per il quale fu pronto a rinunciare anche ciò che fino a quel momento era stato fondamentale per lui: la gloria e il denaro.
Come ben sappiamo Ultimate Warrior non si lascia bene con la World Wrestling Federation nel 1996. Finisce nella World Championship Wrestling quasi due anni dopo, compagnia che come sempre offre una quantità di soldi esorbitante al buon Hellwig. Non che li abbia rifiutati, sia chiaro, ma il punto cruciale del suo accettare non furono né soldi né vittorie. Il punto cruciale del suo contratto era la possibilità di promuovere tramite la WCW e vendere, sempre tramite la stessa, i suoi libri di fumetti.
Avete capito bene: i suoi libri di fumetti. Non è una cosa strana, in effetti, se ci pensiamo bene. Warrior alla fine dei conti veniva da quasi due anni di pausa, preceduti da un brevissimo Stint nella WWF, nella quale, probabilmente, aveva anche tentato di mettere in mezzo i suoi lavoro extra Wrestling. Protagonista di alcuni dei Match e programmi più fallimentari della sua carriera, Warrior, tornò ai box, nei quali era stato anche per anni, a parte qualche breve parentesi, dopo aver lasciato la WWF nel 1992.
Ora, nella WCW, credeva di aver trovato il giusto ambiente per i suoi affari, e inizialmente ebbe ragione. Le sue condizioni vennero accettate e lui firmò. La compagnia targata Turner/Bischoff dal canto suo, aveva in mano un’attrazione che all’inizio del decennio era stata sorprendentemente importante e che, adesso, poteva riproporre in una salsa praticamente uguale e soprattutto in un contesto che avrebbe riportato alla mente di molti fan uno degli scontri più iconici di sempre: quello di Wrestlemania 6.
Hulk Hogan contro Ultimate Warrior parte seconda, insomma, era l’obbiettivo della WCW e Helloween Havoc del 1998 la sede dello stesso. Eric Bischoff non ebbe nessun tipo di problema nella decisione del vincitore: Hogan avrebbe vinto. Warrior non fece una piega, non una lamentela, nessun richiesta extra. Solamente i suoi fumetti.
Chi ne uscì bene da questa storia? Nessuno. Davvero nessuno. Ultimate Warrior non diventerà certamente famoso per le sue doti artistiche e il Match fra lui e Hogan non fu nemmeno un lontano parente di quel Match galattico proposto a Toronto 8 anni prima. La WCW continuava, come ormai da tempo, a cercare a suon di dollari nuovi stimoli per i fan che pian piano avevano abbandonato Nitro per tornare definitivamente a Raw, e nel farlo si dimenticava di quanto tempo fosse passato dall’ “ultima volta”.
Insomma, un’altra storia che può servirci anche oggi, nel nostro presente, dove da una parte la AEW cerca di riproporre cose già viste in passato se non copiandola per lo meno ispirandosi alla WWE, e dall’altra la stessa WWE non fa che riportare sul Ring lottatori che non appartengono a quest’epoca e che se non sono fossili e soltanto perché le Ere del Wrestling non si calcolano in milioni di anni. Una storia che può insegnare, ripeto, quindi impariamo almeno noi, visto che chi dovrebbe essere più esperto, intelligente e soprattutto ha potere, sembra non impararlo mai.