Quando è tornato mesi fa, tutto il WWE Universe era in visibilio. Finalmente una delle personalità più forti dell’ultimo ventennio, nonché una mente formidabile del Business, era ritornato a deliziarci di siparietti dark e ed effetti scenici degni di Hollywood. I primi tempi si era presentato come un “face”, o per meglio dire un “non Heel”, in netto contrasto col maligno Fiend che faceva di tutto per impaurire la platea. Abbiamo assistito ad una crisi psicologica del personaggio, profondamente impegnato a scacciare i residui di male ancora presenti nella sua mente. E, per un attimo, abbiamo fatto il tifo per lui.
Poi è arrivato LA Knight, wrestler dalle indubbie capacità, in cerca di un trampolino di lancio trovato proprio in Wyatt. Lì le speranze di vedere Bray “redento” si sono affievolite, tanto che, istigato a più riprese dal nemico, Wyatt ha finalmente “liberato” il male che c’è in lui, sottoforma di Uncle Howdy. Il suo primo match è arrivato alla Royal Rumble, e detto tra noi era anche ora. Si perché i primi mesi in WWE sono stati carichi di promo, ma poveri, anzi poverissimi di esibizioni vere e proprie. Abbiamo seguito il suo personaggio in questo lungo travaglio interiore, mai esaustivamente spiegato per ragioni di tempo televisivo. Ma ci siamo accontentati di ciò che diceva, e soprattutto di quello che non diceva lasciandolo alla nostra immaginazione, e abbiamo continuato a gioire per lui.
Un match, quello contro LA Knight, meno carino di quello contro John Cena, ma comunque godibile. In barba a chi sostiene che questi match “Hollywoodiani”, molto usati nel periodo della pandemia, non sono “Wrestling”. Certo che no. Mentre i match di Knoxville, Bad Bunny e Pat McAfee sì, lo sono eccome. L’indomani della Royal Rumble si presentava radioso più che mai per Wyatt. Oramai i fan avevano capito tutto quel poco lasciato intendere dalla federazione, ed erano vogliosi di vederlo davvero “all’opera”. Vuoi che Wrestlemania ha bisogno di match da sogno, vuoi che il Main Event era già scritto nel firmamento, e complice un Brock Lesnar troppo egocentrico, Bray si è ritrovato ad affrontare allo Showcase un Bobby Lashley in fase di stallo. Insomma, dopo un match contro un’atleta emergente, uno contro un campione massimo “in pensione”. Non il massimo diciamo.
Poi arriva la batosta che nessuno si aspetta; Bray è fuori, a soli dieci giorni da Wrestlemania, per problemi clinici. Non essendoci un infortunio traumatico in vista, tutti dirottano le proprie ipotesi sulla sanità mentale dell’atleta. E ci azzeccano pure. In piena crisi psicologica, questa volta non “recitata”, Bray è costretto ai box. Non si sa per quanto e non si sa perché. Forse è la sua risposta al rifiuto di Lensar, o forse è una condizione mentale insostenibile per affrontare i gravosi impegni che la “Road to Wrestlemania” esige. Fatto sta che, dopo un breve ma intenso ritorno in WWE, il lottatore più “profondo” attualmente della compagnia è messo nuovamente a riposo, con buona pace della moltitudine di fan che hanno agognato il suo arrivo. Non ci resta che l’amaro in bocca di qualcosa che doveva essere grandioso e non lo è stato, chissà per quale motivo, e la “paura” (questa sì, Bray è stato realmente in grado di trasmettercela) di non vedere più sul ring un wrestler di tale immensa statura.