Pochi giorni fa è passata agli archivi la seconda stagione di “Dark Side Of The Ring”, una docu-serie Statunitense prodotta e trasmessa da Vice. Una piccola miniera d’oro fatta di scoperte, lacrime, emozioni e tanta, tanta realtà.

Vittime, carnefici, martiri, folli. In questa serie vi è davvero di tutto, ed ingloba in modo sapiente uno degli elementi che, soprattutto in passato, faceva e per certi versi fa parte (pensiamo alla triste parabola discendente di Del Rio per dirne una) del nostro sport intrattenimento preferito: un’oscurità spesso malcelata che in retrospettiva riesce a dare un retrogusto amaro anche ai ricordi più dolci. Una serie per gli appassionati nel vero senso del termine, che ha creato un forte interesse (gli ascolti sono stati i più alti della storia del canale) e che promette grandi progressi in vista di una terza stagione. Ma analizziamola un po’ più nel dettaglio.

La docu-serie si compone di 10 episodi: 1° e 2° sono sul caso Benoit, il 3° riguarda la mirabolante vita di New Jack, il 4° l’infame “Brawl for All”, il 5° la tragica morte di Nancy Argentino ed il coinvolgimento di Jimmy Snuka, il 6° l’assassino di Dino Bravo e le ombre circa il suo coinvolgimento con la mala, il 7° il rumoroso schiaffo di Doctor D David Schultz ad un reporter d’assalto, l’8° la storia assurda di Herb Abrams e della UWF tra droga e menzogne, il 9° l’ascesa ed il tracollo dei Road Warriors e d il 10° straziante episodio riguarda l’evitabile morte di Owen Hart, con un accesso inedito alla sua famiglia ed alla loro quotidiana battaglia. Alcuni argomenti, come potrete notare, sono ben noti mentre altri leggermente più “oscuri” ma non meno affascinanti.

La voce narrante è quella di Chris Jericho, che ricopre un ruolo come “testa parlante” anche primi due episodi e nell’ultimo, mentre nella prima stagione lo stesso ruolo è ricoperto da Dutch Mantel. Il montaggio è di primissimo taglio, l’accesso a video pubblici e privati è impressionante, le persone intervistate sono esperti che hanno vissuto in prima persona epoche e vicende e spesso parenti ed amici stretti, insomma nulla è stato lasciato al caso. Dopo l’iniziale traino offerto dai due episodi su Benoit, infatti, il pubblico è rimasto sintonizzato sulle frequenze in modo leale, creando un picco di interesse proprio per l’ultimo episodio sulla morte di Owen.

Fare una review per singolo episodio sarebbe un’impresa improba, mentre fornire qualche highlight magari per incuriosire qualcuno di voi, beh quello è decisamente più fattibile e digeribile.  In generale la serie è stata godibile dall’inizio alla fine ed il tono nei vari episodi è stato abbastanza ondulatorio: quando si è trattato del Brawl for All, di New Jack, di Doctor D e di Herb Abrams lo stesso (seppur adeguatamente serio nei momenti in cui tale serietà viene richiesta) riesce anche ad essere piuttosto leggero e scanzonato, mentre per quanto riguarda i restanti sei episodi il tutto è decisamente tendente a sfumature più oscure e seriose. Non di meno tutto è raccontato in modo appassionante, con l’ausilio di attori “ombra” che impersonano i protagonisti delle varie storie in modo fedele ed eloquente. Nessun volto è mai mostrato in modo nitido, tutto sembra essere raccontato da ombre, sagome e fantasmi e lo spettatore viene immerso, e talvolta travolto, dal turbinio emozionale generato da questi sapienti montaggi. Chapeau.

Gli episodi che ho gradito maggiormente sono quelli riguardanti New Jack, il Brawl for All ed infine i due su Benoit e quello conclusivo su Owen.

Come accennato poco sopra, New Jack e Brawl for All sono stati per certi versi visioni “divertenti”. New Jack è senza timore di smentita uno dei personaggi più pericolosi ad aver mai praticato la disciplina che tutti amiamo: di tempra decisamente corta e poco propenso a mostrar pietà per chi ai suoi occhi manca di rispetto in modo più o meno evidente a lui o al business, si è macchiato di almeno tre tentati omicidi sul ring (celebre il caso Mass Transit), e la cosa più affascinante/preoccupante è che al giorno d’oggi non sembra minimamente pentito o rammaricato per quanto compiuto. La puntata del Brawl for All, invece, mette in luce la follia narrativa e creativa di Vince Russo e la cattiva combinazione del suo “genio” con la voglia di innovare e stupire a tutti i costi di Vince McMahon, che ha dato luce verde all’idea più stupida della storia del wrestling, senza usare esagerazioni o iperboli. Una vera e propria bestialitá sotto ogni punto di vista.

Gli episodi su Benoit e su Owen, invece, hanno un tono ed un approccio totalmente diverso. Il primo episodio della vicenda dell’omicidio/suicidio si incentra parecchio sulla figura di Eddie Guerrero, di come la sua amicizia e la sua guida fossero essenziali per mantenere il precario equilibrio su cui si basava Benoit, in un misto preoccupante fatto di ossessioni, steroidi e tanti, troppi danni celebrali. Il secondo episodio invece si occupa in modo dettagliato dell’evento in se, con dettagli che fanno accamponare la pelle ed un’immersione in apnea nel dolore della cognata di Benoit e di suo figlio, superstite ed erede di un cognome oramai sinonimo di orrore e tragedia. Due episodi meravigliosi, ma forti e violenti come un pugno alla bocca dello stomaco.

Stesso dicasi per il Season Finale, l’episodio su Owen Hart. Il triste e noto evento, ripercorso tramite i video familiari e le voci della moglie e dei due figli, non puó non suscitare una certa rabbia ed un certo disgusto nei confronti di un evento tanto devastante quanto inevitabile: chissà quale sarebbe stata la vera legacy di Owen defunto a soli 34 anni alla soglia di una rivoluzione copernicana nel wrestling che, forse, sarebbe stata capace di vederlo tra i veri protagonisti. Ma questo, ahimè, potremo solo presumerlo.

In soldoni, se non avete avuto modo di vedere questa serie fatelo, tutti gli episodi sono facilmente reperibili (credo per precisa volontà non ostativa degli autori) e non ve ne pentirete…ma preparatevi a nuvole rapide.