WWE ed AEW hanno filosofie decisamente diverse. Su praticamente tutta la linea, partendo dai match, ai promo, passando per le rivalità, la scrittura degli show, i tempi. Guardare una puntata di Raw o di Dynamite è decisamente diverso, due esperienze pressoché opposte. Ma noi non siamo qui per fare classifiche, siamo qui per parlare dello stesso problema che affligge le due promotion più rilevanti a livello mondiale. Solo che il punto di partenza è pressoché opposto.
Regni lunghissimi o che durano pochi giorni: un canovaccio è sempre ripetitivo… e snervante, a volte
Quante volte ci siamo chiesti quando e chi leverà l’Undisputed WWE Universal Title a Roman Reigns? Non molte, in realtà. Almeno fino a Summerslam quando, dopo un’incredibile gestione post-Wrestlemania, il regno del Tribal Chief aveva ripreso decisamente vita. La storia intorno alla Bloodline necessitava di un finale lì, in quel momento. E ce ne siamo accorti pressoché tutti. Si è perso il “momentum” per dare una ventata d’aria fresca ed il Tribal Combat, ancor meglio dello Showcase of Immortals non ce ne voglia Cody, era lo scenario ideale. Ma, si sa, nella testa di molti dirigenti sarà passata probabilmente questa frase: “Come si può chiudere un regno del genere se non a Wrestlemania?”.
Altro punto a sfavore, se così possiamo chiamarlo. La “scontatezza” di tutte le difese di un Reigns che ha, di fatto, pochissime colpe. Ed ecco un errore ciclico, un canovaccio, come accadeva nei lunghi (mai così) regni da part-timer di Brock Lesnar. Perché, quando c’è stata continuità (soprattutto, come già detto, da Wrestlemania a Summerslam), la storia si è scritta pressoché da sola. Ed è stata davvero emozionante nonché di ottimo livello. Ed il motivo, alla luce del sole, è stato anche l’incertezza e la non sicurezza sul fatto che il Tribal Chief potesse rimanere tale.
Un grosso problema dunque che, però, non attanaglia tutti i lunghi regni titolati. Basti pensare a GUNTHER, anche se la proporzione temporale non è minimamente paragonabile a quella di Roman. Mentre, per quanto mi riguarda, comincia ad annoiare anche il regno (molto più breve) di un grandissimo Rollins ma che si trova nel posto sbagliato al momento sbagliato. Visto che un membro del Judgment Day, verosimilmente Damian Priest, avrebbe dovuto essere al suo posto da tempo.
Ma c’è un ma. Il risvolto della medaglia. Andando verso Jacksonville, la situazione è pressoché opposta. Ma simile. Al di là del “meme” sul titolo TNT, che di anno in anno non accenna assolutamente ad essere dimenticato, ora anche l’International Championship, tra infortuni e sfighe, ha cominciato a fare la “puttana“. In netta contrapposizione rispetto al lunghissimo regno di Cassidy, scritto perfettamente e chiuso in maniera perfetta. Il motivo per cui non bisogna fare tutta l’erba un fascio.
Ed ecco le grandissime differenze. Se in WWE hanno quasi paura, ad oggi, a proporci un cambio di titolo inatteso o in eventi secondari, non dandoci di fatto quel brivido di imprevedibilità stile vittoria di AJ Styles di qualche anno fa, in AEW c’è l’effetto opposto. I titoli perdono di valore dopo 18 cambi di possessore in quattro mesi, basti pensare al povero Wardlow e non solo. I titoli di coppia, demoliti in quattro minuti dopo il MOTY Candidate di All In, l’AEW Women’s Title che gira tra i soliti quattro nomi da mesi ormai. Potrei fare mille esempi, citando anche i positivi (come Christian Cage ed MJF), ma mi fermerò qui per fare una riflessione finale.
Non c’è, come avrete capito, una formula vincente. Ci sono episodi negativi e positivi da ambo i lati. Regni lunghi ed interessanti od estenuanti, regni brevi ed avvincenti o inutili. Ma, nel 2023, anche copiare o prendere spunto può essere fondamentale. In uno spirito competitivo che può fare bene, come sta facendo, al mondo del wrestling e delle major in questo caso. Prendere i propri punti forti, ammorbidendo i propri problemi. Tutto facile nella pratica, meno nella realtà dei fatti. Ma alla fine, probabilmente, la magia della disciplina sta nell’imprevedibilità ed è ciò che alimenta più la curiosità dei fan di lunga data e dei novizi.
Ma imprevedibilità non vuol dire “esagerare”. O sovraesporre gli atleti a scelte di booking davvero troppo discutibili. Che si fa quindi? “Mischiamo” le squadre a livello creativo? Non credo si possa fare ma, in un mondo parallelo, Cody Rhodes avrebbe subito l’incasso di LA Knight dopo 4 mesi di regno in una puntata di Main Event. O, peggio ancora, Chris Jericho sarebbe campione dal 2019, dopo aver difeso il titolo solamente 12 volte in quattro anni, tra un tour con i Fozzy e l’altro. Ma la verità è che ognuno, tra pro e contro, ha la propria idea molto solida e radicata. Che, per anzianità, punta ancora forte nei confronti di una WWE davvero in salute, numeri alla mano.
Ma se la concorrenza alimenta il tutto, parte del merito è proprio di una AEW che, in questa “nuova era”, continua a cercare ancora un equilibrio che, oggettivamente, ad oggi non c’è. Ma, tempo al tempo, arriverà. Basta volerlo fortemente. Perché nella vita chi non cambia muore, la filosofia e le regole vanno sovvertite. Sennò dov’è il divertimento?