Che cos’è l’inferno? Nell’immaginario collettivo, l’inferno è la rappresentazione di un posto desolato. Un posto dove non c’è spazio per speranza e positività. Un luogo dove si compie il destino dell’anima dei dannati in un’eterna disperazione. In poche parole, la rappresentazione dell’incubo. In WWE, questa terra di estremo dolore trova incarnazione nell’Hell In A Cell: una struttura demoniaca che, di anno in anno, accoglie sempre nuovi atleti, pronti ad entrare in questo cerchio di sofferenza. “Lasciate ogne speranza, voi ch’intrate” citando proprio il canto III de “L’Inferno” di Dante Allighieri.

Ma, a differenza della celebre opera sopracitata, nel corso degli anni è stato intrapreso un percorso che ci sta conducendo dal profondo di questo macabro luogo fino alla sua superficie, lasciando dietro a sé tutta la violenza e la tragedia vissuti là dentro.

Sicuramente, nei primi anni d’esistenza della cella demoniaca abbiamo potuto assistere ad alcuni incontri spietati e brutali al tempo stesso: iconici sono le due cadute compiute da Mick Foley nel corso del suo match contro The Undertaker a King Of The Ring 1998, rimasti impressi nell’immaginario collettivo. Ma non è necessario ritornare negli anni ’90 per pescare degli ottimi incontri svolti all’interno della struttura: per esempio, a Wrestlemania 28 Triple H e il Deadman hanno creato una contesa divenuta storica.

Ma, a partire dal 2009, le cose sono cambiate drasticamente: proprio da quell’annata, “Hell In A Cell”, oltre che essere un match a stipulazione speciale, è diventato un evento a cadenza annuale all’interno del calendario WWE, spianando così la strada per intraprendere il percorso di cui ho scritto prima.

Difatti, durante questi dieci lunghi anni, abbiamo assistito a contese del tutto inadeguate e poco adatte alla demoniaca struttura: molto spesso, rivalità senza mordente e dai ritmi scialbi hanno trovato la loro conclusione dentro la cella, utilizzata in passato solo per occasioni speciali che davvero meritavano l’Inferno.

Ovviamente, qualche eccezione nel corso del tempo c’è stata, ma quel che è certo, un passo alla volta, abbiamo raggiunto un punto di non ritorno, in particolare con le ultime due edizioni di questo spettacolo.

Soffermiamoci in particolare sugli ultimi due Main Event di Hell In A Cell: Roman Reigns vs Braun Strowman e Seth Rollins vs The Fiend. Seppur questi due scontri abbiano sviluppi narrativi totalmente diversi, c’è un elemento di comunanza: il finale. Per l’appunto, in entrambe le occasioni l’arbitro si è trovato costretto a decretare la fine del match anzitempo, a causa nel primo caso dell’intervento di Brock Lesnar e nel secondo caso per l’eccessiva violenza di The Beast Slayer.

Concettualmente, questi due sono errori molto gravi, che non si sposano per niente col contesto che stiamo descrivendo. Come già detto in precedenza, prima della fondazione di questo show annuale, era totalmente impensabile che uno scontro tenutosi all’interno della gabbia infernale potesse concludersi senza un verdetto chiaro e limpido.

Paradossalmente, ciò che prima veniva descritto come un inferno puramente metaforico ora si sta trasformando realmente in un’agonia, dal momento in cui, di anno in anno, siamo costretti a trovarci di fronte a scenari del genere senza poter muovere un dito.

Allo stesso tempo, non me la sento neppure di indicare come capro espiatorio il tanto odiato “TV-PG”, dato che in più di un’occasione ci è stato dimostrato come sia possibile creare un Hell In A Cell Match dal sapore infernale senza dover spingere troppo sulla violenza: esempio perfetto è lo scontro tra The Undertaker ed Edge di Summerslam 2008, che ci ha offerto manovre ad alto impatto nonostante le limitazioni.

Un solo aggettivo descrive cos’è ormai diventata questa stipulazione: inadeguata. Inadeguatezza che deriva pure dal contesto in cui si trova, ma soprattutto dalla gestione applicata ad essa negli ultimi anni, e che ha raggiunto il suo punto catartico, come già detto, nelle ultime due edizioni dell’annuale ppv.

Paragonando nuovamente la gabbia infernale alla Divina Commedia, oserei dire che siamo giunto al momento in cui “uscimmo a riveder le stelle”, frase apparentemente benevola, a meno che si stia parlando di Lucifero e dell’Inferno, proprio come in questo caso.