Vince McMahon mi ha rovinato la vita e ha rovinato la percezione di milioni di fan di wrestling rispetto all’uguaglianza dei diritti dei suoi dipendenti. “Non proprio dai, magari non in maniera così catastrofica” “Magari sei tu che esageri, alla fine “ha fatto qualcosa di buono anche Lui…”
Dopo un bel periodo di tempo in cui all’interno della WWE è stato superato uno scoglio psicologico enorme per chi comanda, ovvero quello del dare merito e valore alle lottatrici e con risultati stratosferici. Decenni di politica arretrata, perché di politica si parla, hanno deformato anche la percezione di chi seguiva e segue il prodotto in televisione per il quale le donne non sono capaci di essere nulla di più che un “pezzo di carne”, i lottatori di colore non vincono mai i titoli mondiali e nessun lottatore/lottatrice per paura di ritorsioni, quali il licenziamento, ha mai fatto coming out.
Oggi a metà del secondo decennio degli anni duemila, una società quotata in borsa come la WWE non può nemmeno lontanamente permettersi di anche solo pensare a fare delle discriminazioni, come in passato sono state fatte, più o meno apertamente. Non siamo negli anni sessanta, ma l’epoca del wrestling legato a una “cultura” maschilista e guidata da idee politiche conservatrici, con gli antichi retaggi di un sud degli USA incancrenito e incapace di aprire gli occhi sul mondo che cambiava, deve e sta inesorabilmente crollando.
Mai come adesso la WWE ragiona su un pubblico mondiale, culturalmente avanzato e con una nuova generazione di bambini e giovani adolescenti che hanno voglia di identificarsi in Darren Young, in Apollo Crews e Bayley, per fare tre nomi. Personaggi che incarnano la società reale, perché il wrestling deve essere capace, per quanto si tratti di entertainment di guardare sempre in faccia chi paga il biglietto.
Siamo d’accordo che spesso il merito sia una questione soggettiva, soprattutto nello spettacolo, dove a far pendere l’ago della bilancia rispetto al bucare lo schermo sono fattori che sono spesso indefinibili. Prendete uno come Mick Foley, che è l’antitesi di tutto ciò che avrebbe dovuto funzionare e invece funzionò eccome, ma il “merito” è spesso la migliore scusa per fare ciò che scrivevo poco sopra.
Il match di Wrestlemania delle donne non è stato solo il punto esclamativo che ha evidenziato la bontà del lavoro svolto, ma è stato anche un monito e una sveglia per tutti i fan impigriti da anni di svalutazione del wrestling femminile. Avrete pensato anche voi quanto talento è stato buttato negli ultimi trent’anni, quante donne brave e capaci, non hanno trovato le porte aperte a causa della Stacy Keibler di turno.
La poliedricità delle donne in questo momento è addirittura superiore a quella degli uomini, la possibilità di scrivere pagine di storia è l’opportunità che chiunque sogna. Per quanto concerne l’aspetto aziendale della faccenda, mai come adesso si percepisce che inesorabilmente la WWE sia sempre meno personalistica, legata al corpo del padrone e sempre più costruita da un consiglio di amministrazione che sa da che parte tira il vento.
Certo è che da questo momento in poi non si potrà più tornare indietro, solo in avanti, che vorrà dire il Main Event di uno Special Event con protagonista Charlotte con qualche altra sua collega e storyline che sempre di più avranno punti di contatti con la società mondiale di questi anni, non ci dovranno stupire. È inutile girarci intorno, il prodotto è stato stravolto e il destinatario medio è molto più “liquido” del passato, con un profilo che varia dal trentenne al ragazzino, senza più alcuna distinzione di sesso e altro genere di orientamento. Benvenuta finalmente nella realtà WWE.
Equal Rights
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