In un momento storico in cui la divisione femminile in NXT ha avuto un’iniezione incredibile di talento, con gli arrivi di Giulia, Zaria e Stephanie Vaquer, Ethan Page è sicuramente uno dei nomi di punta del terzo brand della WWE. Il suo debutto a sorpresa a fine maggio lo ha portato in meno di due mesi al titolo di campione NXT, e ora a Deadline avrà la possibilità di vincere la Iron Survivor Challenge e ripresentarsi come primo sfidante di Trick Williams. Un push immediato, che però è figlio di oltre 18 anni di duro lavoro nella scena indipendente prima, e in TNA e AEW poi, seguendo un percorso molto diverso da quello di tanti atleti ora presenti in NXT, primo fra tutti proprio lo stesso Trick.

“I giovani qui sono dei fenomeni”

Intervistato da The Takedown on Sports Illustrated in vista di Deadline, Page ha parlato anche della differenza tra il suo percorso e quello di questi atleti, che spesso non arrivano dalle indies ma da altri sport e che altrettanto spesso non sono cresciuti con il sogno di diventare wrestler. Nello specifico, All Ego ha raccontato un aneddoto simpatico per spiegare questa differenza:

“Serve un oceano di pazienza [per lavorare con questi atleti più giovani]. È così che si fa. Ti faccio un esempio. […] Ho fatto una visita al reparto pediatrico di un ospedale giovedì scorso. Eravamo lì a fare una chiacchierata, è come un programma in studio, ma per i bambini che sono in ospedale. È una cosa piuttosto geniale, in effetti. Hanno il loro canale in cui ospitano vip come me, arrivano grandi star e le intervistano. È molto carino farsi intervistare così. Tutti in ospedale possono vederla, è un’ottima cosa. L’intervistatore ha chiesto a me e agli altri tre ‘Quando ti sei innamorato del wrestling?’ Io avevo una risposta ovviamente molto elaborata: quando ero piccolo, guardandolo con mio papà. Tutti gli altri hanno detto ‘Quando mi hanno assunto’. Quindi c’è una bella differenza. È una cosa negativa? No, non direi proprio. Io voglio che tutti amino il wrestling e ho un sacco di rispetto per questi atleti. Sono dei fenomeni. Io non potrei fare quello che fanno loro, ed è molto diverso dai 18 anni che mi sono serviti per arrivare alla posizione in cui sono e forse 18 anni di vita comunque li hanno portati al mio stesso punto di arrivo. Per cui sì, ci vuole un sacco di pazienza.”