Pensare a Jeff Jarrett semplicemente come a un simbolo della concorrenza con la World Wrestling Entertainment, significherebbe fare un grosso errore di distrazione. Sarebbe come guardare dalla finestra da seduti, senza alzarsi in piedi per osservare bene chi ha suonato il campanello chiedendo il permesso di entrare. Per pensare a Jeff Jarrett quindi, bisogna alzarsi in piedi, in tutta la nostra altezza, e magari, se non fa troppo freddo, aprire anche la finestra, affacciarsi, sporgersi e capire, che dai piedi alla testa il suo corpo e la sua vita sono ripieni, ricoperti e glassati dal Professional Wrestling.

 

Dal 14 Luglio del 1967, ovvero dal giorno nel quale i suoi polmoni  si riempirono per la prima volta di aria, Jarrett era immerso nel mondo del Wrestling. Il nonno materno era un lottatore. La nonna paterna era una Promoter. Il padre era un Wrestler e un Promoter da quando era adolescente ed era considerato da tutti nell’ambiente un genio. Lui, Double J, non poteva non diventare altrettanto influente nell’ambiente.

Non si può dire che Jeff Jarrett sia un santo. Non si può dire che Jeff Jarrett sia stato uno dei migliori lottatori di sempre. Non si può dire che sui Ring avremmo avuto un vuoto senza di lui. Ma si, possiamo dire, che ha dedicato tutta la sua vita, nel bene e nel male, al Pro Wrestling, dandosi sempre la possibilità di essere li, al centro della notizia in un modo o nell’altro. Dalla culla all’arca della gloria, e forse anche dopo, Double J è sempre stato intorno a un Ring e in giro per il mondo, cercando, osservando e dando possibilità a giovani promettenti troppo bravi per essere sottopagati e magari dimenticati dalla World Wrestling Federation.

La sua introduzione nella Hall of Fame della WWE a qualcuno è sembrata strana, perché Jeff Jarrett è stato l’ultimo ad avvicinarsi a quello che poteva essere considerato un concorrente per la stessa compagnia di Stamford, ma la verità è che, ammesso e non concesso che un concorrente lo sia stato, il Business è Business e Vince McMahon, come anche Triple H, queste cose le sa bene.

Per questo hanno deciso, dopo aver perdonato a Jeff i capricci del 1999 e dopo, con tutta probabilità, aver ascoltato la mediazione del vecchio Jerry, anch’egli riconciliato con il figlio dopo tanti anni di discordia, di premiarlo con l’introduzione nell’arca della gloria. Un premio che non gli arriva per i tanti titoli vinti a Stamford, un premio che non gli arriva nemmeno per i tanti titoli vinti nella WCW, o nella TNA, ma per i tanti sforzi fatti, sempre e comunque, per dare un senso al Wrestling alternativo. Per il lavoro fatto, anche sbagliando, in un ambiente nel quale se perdi la costanza o la pazienza sei perduto anche tu, e con te sono perduti tanti lottatori che fino al momento nel quale ti hanno incontrato, non avevano ancora trovato una dimensione adeguata e forse, chi lo sa, non l’avrebbero mai trovata, provate a chiedere ad AJ Styles.

Quindi dimentichiamoci il passato cattivo, quello brutto e pieno di errori. Ricordiamoci invece il passato buono, quello pieno di spunti e intraprendenza. Pensiamo a Jeff Jarrett come al protagonista scorretto che alla fine  della favola si rende conto dei suoi errori e con un colpo di coda aiuta l’eroe a vincere la battaglia finale. Pensiamo a Jeff Jarrett come l’uomo che ha capito che è meglio chiedere scusa, non lasciare niente di non detto, nessun conto aperto, perché poi l’amore della tua vita potrebbe essere trascinato via senza che tu abbia la possibilità di dirgli un’ultima parola. Questo Jeff lo ha imparato quando ha perso Jill, la donna che dai tempi della scuola lo aveva accompagnato nel corso della sua vita.

Jill era il suo grande amore. L’altro grande amore di Jeff è il Professional Wrestling e non poteva rischiare di non dire anche a lui un’ultima parola. Ha deciso quindi di combattere i suoi problemi, avvicinarsi al vero cuore pulsante della creatura e accettare la sua corte, e non importa se i motivi siano convenienti a una o all’altra parte, importa che tutto, in questa storia, alla fine sarà al suo posto.

Non brillerà come altri, il nome di Jeff Jarrett, ma brillerà, rappresentando anche suo padre Jerry, sua nonna Teeny, la sua famiglia che come lui, e forse più, tanto ha dato alla disciplina. Brillerà giustamente in una lista che non può essere composta soltanto di Kurt Angle, Bret Hart o Bruno Sammartino, ma deve anche dare il giusto merito a coloro che, in un modo o nell’altro, sono stati il motore e allo stesso tempo il carburante nella meccanica di un sistema tanto complicato quanto affascinante.