CM Punk, ospite dell’amico Colt Cabana, come dicono nell’agro della Campania Felix ha “sciolto il rosario”, dando vita nell’episodio 226 del podcast “The Art of Wrestling” ad un amaro sfogo di quasi due ore. Più tinto della barba di Kevin Nash nel 2011, ecco a voi l’editoriale odierno.

Il wrestling è affascinante. E lo è perché ognuno di noi fan “smart” è titolato, in misura esattamente uguale, ad avere la propria opinione su una miriade di argomenti la cui dietrologia è talvolta estremamente presente, altre volte frutto della nostra fervida immaginazione. Le parole di CM Punk, anzi quelle di Phil Brooks hanno dato, stanno dando e daranno vita ad una miriade di congetture, considerazioni, pensieri più o meno coerenti e grammaticalmente discutibili battuti su una tastiera e proiettati su monitor dai disparati pollici. Ed in questo contesto si inserisce chi vi scrive, incapace di scrollarsi di dosso un’unica, ingombrante sensazione. Amarezza.

E l’amarezza nasce non dal fatto che io sia indignato dal comportamento complessivo della WWE, o dal fatto che uno dei miei beniamini ha mollato noi fan nel periodo forse di maggior maturazione creativa. L’amarezza deriva dal fatto che, palesemente, la situazione è stata gestita maluccio da entrambe le parti in gioco. L’amarezza nasce dal fatto che, a prescindere di chi sia la colpa, uno dei miei lottatori preferiti non comparirà più sugli schermi televisivi per molto, molto tempo. L’amarezza deriva, infine, dal fatto che mai la WWE ha avuto maggiormente bisogno di CM Punk come in questo periodo, in cui il roster è sempre più sottile dal punto di vista di talenti ed il team creativo sta già brindando con Moét e Panettone in largo anticipo. Ma andiamo, nei limiti del possibile, ad analizzare i punti salienti del podcast.

Phil esordisce con un laconico

“Money is not everything, ladies and gentlemen. That will be a big theme in my story.”

Beh questa dichiarazione ha sicuramente un fondo di verità, ma va ben contestualizzata. Punk ha rinunciato, andando via prima della sua scadenza contrattuale, a fior di quattrini, parliamoci chiaro. Tuttavia il non essere pagato al pari dei main eventer di Wrestlemania in occasione del match con Taker è un punto toccato più volte durante il monologo: dunque la componente economica di certo non era in cima alla lista ma comunque saldamente sul podio, come è giusto che sia quando si tratta di prestazioni lavorative retribuite, che sia fare l’impiegato postale oppure il Campione del Mondo WWE.

Un altro soggetto menzionato a più riprese è Triple H. Il rapporto tra i due, dalle parole di Punk ma anche in generale dal comportamento di Triple H per quanto evincibile, è sempre stato palesemente conflittuale. Ed il tutto nasce, sicuramente, dalla decisione presa nel 2011 che vide Punk contrapposto al Triplo nel periodo di maggiore lustro del primo: il momentum acquisito da Punk nel post Money in The Bank fu notevolmente ridimensionato, a causa della sconfitta contro un wrestler oramai semiritirato (lo stesso Levesque) e la faida messa su contro uno dei suoi amici (Kevin Nash). A questo aggiungiamo il comportamento poco cristallino nella gestione del film “12 rounds 2”, pellicola che avrebbe dovuto avere Punk come protagonista ma che poi ricadde su Orton, consideriamo il fatto che a Punk fu negato di accompagnare l’amico Chael Sonnen in UFC mentre HHH accompagnò tranquillamente Mayweather poco dopo ed infine la questione Wrestlemania XXX. In particolare, Punk spiega che i piani avrebbero dovuto prevedere un match tra i due in quella stessa sede, vanificando ancora una volta il suo sogno personale: disputare un Main Event di Wrestlemania. Complice la scarsa stima tra i due ed un tempismo pessimo con il livello di esasperazione a cui Punk stava andando incontro questo match non ha mai avuto luogo, ed il sogno di Punk di occupare la parte più importante della card dello show principe dell’anno, a quanto pare, resterà disatteso.

L’esasperazione di Punk, in base a quanto facilmente intuibile dalle sue parole, nasce sia da uno stato di salute perfettibile, che da una gestione ritenuta poco consona al suo status di Main Eventer. In particolare, perdere contro Triple H, The Rock, Brock Lesnar ed Undertaker, quattro part timers a tutti gli effetti, non è proprio andato giù al beniamino di Chicago, così come non gli è andato per nulla a genio lavorare con Ryback, causa (a suo dire) di diversi acciacchi anche abbastanza gravi. Effettivamente, se ragioniamo in modo freddo le cose stanno così: pur essendo quattro match di profilo assolutamente elevatissimo, Punk ne è uscito sempre sconfitto e, forse, ridimensionato. In particolare, mi torna alla mente la faida tra Punk e The Rock. Il lavoro microfonico dei due fu eccellente, ma la sensazione finale fu quella di un’eterna incompiuta in quanto, forse, i due non riuscirono a trovare l’alchimia giusta in grado di creare quella magia che era lecito aspettarsi. Discorso diverso per quanto riguarda la faida con Taker…anzi, il match con il becchino.

Punk sostiene che il match fu, per lui, un vero e proprio banco di prova. La consapevolezza che questo incontro sarebbe stato meglio sia del main event (Rock Vs Cena) che di Lesnar contro HHH era chiara sin dall’inizio, e le conferme che arrivarono dai mille addetti ai lavori una volta concluso l’incontro, tra cui Vince, da un certo punto di vista furono per lui un conforto, dall’altro uno smacco. Il suo punto di vista è assolutamente plausibile in questo caso, ma ancora una volta rimarca come il pagamento per Wrestlemania non fu all’altezza delle sue aspettative. Colpa di Vince dunque.

Vince Mc Mahon è una figura che, da sempre, ha attratto in modo magnetico personalità bisognose di una figura paterna, come Michaels, Hart, Hogan, Warrior ed in fin dei conti lo stesso Punk. E come in tutte le relazioni padre figlio, il complesso di Edipo è li dietro l’angolo assieme ad i vari problemi e contrasti che ne derivano. Punk si sente in ampio credito con il patron della WWE: i job concessi ai vari part timers per quanto illustri, l’essere turnato heel in un momento storico in cui le vendite del suo merchandising da babyface facevano faville (tradotto: meno soldi per lui, ed ecco che il lato economico ritorna a far capolino), l’aver lavorato con un pericolo ambulante di nome Ryback, l’aver rinunciato ad apporre sponsor sul proprio attire (cosa concessa invece a Lesnar), l’aver rinunciato ad essere affiancato dallo Shield ed altri piccoli avvenimenti sono tasselli che hanno montato la frustrazione di Punk, che ancora una volta si è visto negare il Main Event di WM per cederlo (originariamente, prima dell’esplosione di Bryan) a Batista e Randy Orton.

I problemi di salute legati a concussioni vere o presunte e ad una mancata rimozione di un’infezione da stafilococco sono state le ultime, decisive gocce che hanno fatto traboccare il vaso: Punk ci racconta che, in un colloquio finale con HHH e Vince, è completamente esploso, vomitando addosso tutta la sua frustrazione su entrambi e mettendo in chiaro che il wrestling, un tempo la sua passione, era oramai divenuto la sua condanna. Dopo qualche mese e diverse chiamate non corrisposte, Punk sarà licenziato il giorno del suo matrimonio con un gesto (a ragion veduta) dalla cattiveria deliberata, volta a punire anche dal punto di vista umano delle colpe decisamente ascrivibili alla sfera lavorativa. Di qui beghe per la gestione dei diritti sulle vendite, mancati pagamenti poi corrisposti e tante, tante lettere tra avvocati. Come ogni matrimonio che si rispetti al giorno d’oggi.

Credo che non si possa valutare una situazione dopo aver sentito una sola campana. Credo, in modo assolutamente fermo, che una risposta argomentata dal patron in persona potrebbe fare ulteriore luce sulla vicenda, e magari ricucire parte di quel tessuto totalmente strappato. Di una cosa però sono certo: alcune cose imputate da Punk alla WWE sono state, e sono, sotto gli occhi di tutti. Bryan è andato vicinissimo ad essere estromesso dal main event di Wrestlemania nel suo anno, così come Punk è stato estromesso i tre anni precedenti, quando nel 2011 era la cosa più over nel wrestling dopo la sempreverde patacca. La scelta di mandare Punk contro HHH (e farlo perdere) e poi contro Nash nel 2011 resta una delle cose maggiormente prive di senso che io abbia mai visto. Il fatto che la WWE non abbia ben chiaro come gestire i propri asset, anche quelli palesemente validi, è qualcosa di lapalissiano. Tuttavia c’è qualcosa di incoerentemente umano anche nel ragionamento di Punk.

Innanzitutto mi verrebbe da pensare che, questo amaro sfogo, sia il preludio dell’addio di AJ Lee alla WWE. Non avrebbe senso, infatti, sparare così a zero non sul proprio precedente datore di lavoro, ma su quello attuale della propria consorte, salvo la presenza di piani che vanno già oltre un potenziale allontanamento delle due parti. Il discorso economico, elegantemente distanziato all’inizio, resta secondo me un elemento costante nei suoi ragionamenti: la paga a Wrestlemania, la vendita del merchandise, il film, le royalties, il cambiamento con il WWE Network, la necessità di una lega tra atleti sono tutti piccoli elementi che vanno assolutamente nel verso opposto alla premessa. Infine, una persona con un’influenza creativa così assoluta sul proprio personaggio avrebbe potuto, e dovuto, prendere provvedimenti prima che la situazione divenisse cronica, come invece è purtroppo avvenuto. Punk è un uomo abbastanza irruento, ma nel contempo la sua riflessività da professionista (presente in gran parte del suo discorso) avrebbe dovuto prendere il sopravvento.

Questo discorso chiude le porte ad un ritorno di Punk in WWE? Sinceramente non credo. Orgoglio, dignità, libertà, senso di leggerezza e salute fisica sono elementi immediati che hanno portato e stanno portando enormi benefici a Phil Brooks, e tali benefici potrebbero essere la base per una serenità che potrebbe consentirgli di fare, un domani, una scelta protesa verso un ritorno mai troppo sperato. Chi ha ascoltato il podcast dovrebbe aver capito una cosa: Punk non è tranquillo come dice di essere, né ha superato tutto con una risata con il fare strafottente che molti gli attribuiscono. Phil Brooks ha somatizzato tutto ciò che gli è stato gettato contro, e buttarlo fuori attraverso un monologo è solo una fase intermedia del processo “digestivo” della vicenda.

Essere bistrattato. Non essere curato. Essere scavalcato da part timers che valgono, per la WWE, meno di quanto valesse lui. Essere licenziato il giorno del suo matrimonio. Questi motivi hanno creato una rabbia talmente forte dall’essere pervasiva, e trasmittibile per formato audio anche a distanza di mesi, per chi ha le orecchie per sentire. Phil Brooks è ben lungi dall’essersi lasciato tutto alle spalle, e questo podcast non è assolutamente una chiusura di un percorso, bensì una vera e propria tappa intermedia di una storia che ha ancora molte pagine da scrivere.

Il messaggio è chiaro. Magari non l’anno prossimo. Magari fra due o tre. Passato questo tempo e con un’offerta ECONOMICA di un determinato tipo, con annesso un main event di Wrestlemania, beh si potrebbe anche parlare di un eventuale ritorno ad oggi assolutamente non ipotizzabile.

 “Credo di aver fallito nel wrestling perché non ho mai disputato un ME di WM”,

“il match con Taker è stato il match migliore della serata, il vero showstealer”,

“avrei voluto essere pagato come i main eventer di WM e la cosa mi sarebbe stata bene”

Queste frasi sono il chiaro segno che Punk al ME di Wrestlemania ci pensa, eccome. Essere etichettato come un fallimento dall’unica persona la cui opinione in fondo conta veramente, ossia se stesso, potrebbe essere la molla definitiva in grado di far scattare in Punk la voglia di tornare per mettersi alla prova ancora una volta, e coronare il suo sogno d’infanzia. Sarà il piccolo fan mark dentro di me che parla? Non credo.

Non difendo Punk, non lo assolvo né lo giudico. Ci sono talmente tante zone di grigio in questa vicenda che prendere una posizione assoluta e difenderla come tale sarebbe totalmente illogico, ed irragionevole. Ciò che però posso dire è che l’esigenza così violenta di emergere, così palese in un personaggio come Punk, lo ha reso in pochi anni una delle stelle più brillanti di sempre in WWE…e tale esigenza, ritiro o meno, non verrà mai a mancare finchè ci sarà un ring da calcare, o uno stadio da riempire.

Addio CM Punk, e grazie di tutto.

Per ora.

Danilo