Di questi tempi, lo so, ciò che si vorrebbe leggere sono storie allegre, divertenti, o al limite retroscena, notizie nascoste nei meandri del tempo, imprigionate in libri poco famosi, in interviste poco popolari. Ma non si può, davvero no, fare a meno di lasciare un ultimo ricordo a uno di quei signori che ha contribuito a fare la storia della WWE, e quindi del Wrestling. Una voce che, attraverso tre generazioni, ha caratterizzato alcuni dei più importanti momenti legati alla nostra disciplina.
Howard Finkel era il suo nome. Lo hanno chiamato anche The Fink, lo hanno chiamato anche Finkus Maximus, ma l’uomo era sempre lo stesso, troppo poco alto per spiccare alla vista, ma abbastanza enorme da salire su tutti al momento giusto. Quel nome romano forse gli si addiceva più di ogni altro, perché più di ogni altro ha reso indimenticabili e memorabili le grandi vittorie dei gladiatori del Ring.
I grandi campioni del mondo, rimangono tali anche il giorno dopo, la sua voce invece spariva. Qualcuno pensava, pensa, penserà o penserebbe, che questa perdita non è esattamente come le altre, ma la realtà è che tutti quei decantati Wrestlemania Moment, non sarebbero esattamente gli stessi, se in sottofondo, spesso non ascoltato, ignorato, nascosto dalle immagini, non ci fosse stata quella voce. Lo so, tante volte sembrava non si ascoltasse, nemmeno si sentisse, però c’era, e inconsciamente tutti l’abbiamo sempre assimilata, impacchettando quei momenti che altrimenti non sarebbero stati gli stessi.
Sarebbe mancato qualcosa, se non ci fosse stato Howard Finkel. Sarebbe mancata quell’aura di grandezza, invincibilità, luminescenza, che rendono un campione e il suo incoronamento ciò che sono. Gli è sempre bastato avere un microfono in mano per fare magia, che questo scendesse dal soffitto appeso al suo cavo, o che avesse un segnale a legarlo agli amplificatori.
Magia, si, è sempre stata magia. E ora che ci penso, probabilmente, tutti quei microfoni presi in mano per anni avrebbero anche potuto non esserci. The Fink non era un uomo che estendeva se stesso con la tecnologia, ma con le sue corde vocali. Non era bravo con gli Angle, giusto due o tre nella sua carriera. Non era bravo a commentare, giusto qualche volta. Non era bravo a combattere, o a fare il Manager. Era bravo a ricoprire tutto questo di aria seduttrice, senza che nessuno se ne accorgesse, ma stregando tutti quanti.
Ci strega per l’ultima volta Howard Finkel, quando ci lascia colpito da un ictus all’età di 69 anni. Un’età nella quale, ormai, non è più normale morire. Ma come sempre lascia qualcosa, qualcosa che come per tutta la sua vita non è stato proprio visibile, a volte nemmeno intuibile, ma che il nostro corpo e le nostre orecchie hanno assorbito, come un messaggio subliminale, come tutte quelle stelle che illuminano la notte e ci mostrano la via, anche se noi non alziamo mai gli occhi al cielo per guardarle. Anche The Fink adesso e fra quelle, e direi che per una volta, almeno per una, sia giusto alzare la nostra testa, osservare il soffitto del mondo, salutare e magari dire grazie.