Non si sapeva molto di lui, siamo sinceri, in pochi avevamo visto qualcosa di quest’uomo nel quadrato. Qualche Match di sfuggita nella Game Changer Wrestling, nel weekend di Wrestlemania, quando facciamo un bagno completo nel Pro Wrestling. Oppure qualche Match di sfuggita nella Combat Zone Wrestling. Però passava quasi inosservato, di lato, con la coda dell’occhio, di striscio.
Poi improvvisamente, perché la violenza casuale di una morte repentina lo è sempre, ci sbatte in faccia questo nome, e allora ricordiamo vagamente che c’era un Wrestler con questo nome, che più che altro lavorava nelle compagnie indipendenti, e non in quelle importanti. Era un talento, si diceva, era stato vicino e praticamente dentro la WWE, si diceva. Francamente, adesso, non è il suo Status ciò che conta.
E’ normale? Certo, è normale. E’ normale come il passare inosservati in un marciapiede, in mezzo alla gente. Nessuno sa chi sei, nessuno saprà che morirai. E’ normale poi dispiacersi? Si, lo è. Perché in fin dei conti è di una vita che stiamo parlando, di un ragazzo di 25 anni che ha detto addio a tutto ciò che si poteva salutare, compreso il Ring, compresi i progetti, compresi i programmi, anche i desideri. Muore un altro Professional Wrestler, muore in strada, su una bicicletta. Muore all’improvviso.
Stavolta non si tratta di qualcuno che aveva esagerato perché faceva parte di questo mondo e voleva continuare a farne parte. Non si tratta di droghe, di alcol, di eccessi. Si tratta della più pura e semplice, oltre che tremendamente oscura, casualità. La casualità che ti porta via tutto, e che ci porta via ogni speranza di poterlo vedere su un quadrato in un palcoscenico degno, esposto, primario. Ci toglie la possibilità di giudicarlo, tifarlo, denigrarlo, insultarlo, dirgli che è bravo, dirgli che è scarso. Urlargli, fischiargli, scrivergli un cartello colorato. Ci toglie tutto. Purtroppo.
Come al solito rimaniamo con un pugno di mosche, con tanti pensieri di cui pochi buoni. Come sempre mi ritrovo a dover dire qualcosa di già sentito e già scritto, compreso il fatto che mi trovi a dover scrivere qualcosa di già sentito e già scritto.
Però è doveroso farlo. Lasciate che lo faccia. Io me lo permetto, nonostante rischi di sembrare patetico. Non posso non ricordare chiunque, almeno per un ultimo saluto, sia salito su un quadrato e abbia cercato di guadagnarsi la vita nell’arte di farci sorridere, arrabbiare e gioire. Che sia grande o piccolo, importante o insignificante, merita il mio rispetto e merita quello di tutti voi, e di tutti loro. Di tutti coloro che si definiscono dei fan di Wrestling.
Il suo nome era Matt Travis, aveva combattuto 25 Match, aveva 25 anni, ci ha lasciato in uno schianto falciante il 9 novembre del 2019, il giorno del trentennale della caduta del muro di Berlino, il giorno delle cadute, avrà pensato, in quel infinito ultimo secondo nel quale tutto è svanito, fra la nebbia incandescente, fra l’incomprensibile passaggio al paradiso, o all’inferno, fra le ossa che si rompevano e il ferro che si contorceva. Il giorno delle cadute, è, il 9 novembre.
Un ricordo, nella speranza che riposi in pace, al giovane Matt, una persona che per sempre sarà giovane e che adesso potrà incontrare quegli enormi talenti che mai avrebbe pensato di poter incrociare su un Ring, quelli che adorava da bambino e che adesso saranno i suoi mentori nel difficile imparare a essere un anima senza corpo. Sono sicuro, alla fine, che non avrebbe potuto avere maestri migliori.