C’è chi ha sentito un brivido di freddo leggendo il titolo e chi mente. Però, siccome dal 2006 vi racconto il wrestling su questo giornale quotidiano, voglio farvi un ragionamento. Non tanto per convincervi a darmi la ragione (non mi interessa). Quanto ad aprire un dibattito sui pro e i contro di una sfida che vedrà – molto probabilmente, ma non ancora ufficialmente – gli Young Bucks battagliare contro Sting e Darby Allin nel ppv (ormai sold out) “Revolution”.
I presupposti. Siamo convinti che la miglior chiusura della carriera per un wrestler sia quella di un single match contro un avversario storico o contro una nuova leva da lanciare. Pensiero per certi versi giusto, ma che non è supportata del tutto dalla storia. Tantissimi (ormai) ex wrestler hanno appeso gli scarponi al chiodo con un tag team match. Vuoi per l’età. Vuoi per la forma fisica precaria. Vuoi per garantire ai fan la miglior prestazione possibile nelle più precarie condizioni possibili.
Però, posto che vorremmo un single match, quale potrebbe essere? Gli avversari nella carriera di Sting sono stati tanti. La possibilità di revival è ampia. Ma come stanno i suoi avversari? Ric Flair è da anni una macchietta di se stesso. Se volessimo rivederli assieme, si potrebbe accedere facilmente su Youtube ad un loro match del passato. Sconsiglio quello che lottarono nell’ultima edizione di Nitro: emozionante sì, ma non è nulla di che. Goldberg invece si è autoproposto, ma dopo le figure barbine in WWE non so se mi fiderei mai a lasciargli chiudere la carriera dello Stinger.
Hulk Hogan si è detto fortunato a camminare ancora. The Great Muta si è già ritirato, Vampiro non sta benissimo, idem l’amico/avversario più forte – ovvero Lex Luger. Le ginocchia escludono Paul Wight, Bret Hart non può combattere, Scott Steiner è borderline. Vader è morto, Sid Vicious non è proponibile, idem Kevin Nash. Rimarrebbe Mick Foley, ma anche lui ha alzato bandiera bianca.
So cosa state pensando: ma c’è Darby Allin. E qui sorgono diversi problemi. Il primo è che debba turnare heel. E non ne ha bisogno visto quanto è tifato. Il secondo è lo stile di lotta, che per velocità e complessità non si addice a Sting. Il terzo è la necessità di una durata lunga. Cosa che lo Stinger non può garantire in singolo, tra cardio e condizioni fisiche. Contate poi che un passaggio di testimone può avvenire semplicemente accompagnando un protetto, non necessariamente costruendoci un feud sopra.
Ecco la carta Young Bucks. I due fratelli Jackson sono quella classica carta del mazzo che sta bene su tutto. Sanno essere safe, sanno essere spericolati, sanno giocare di no selling ma anche di psicologia. Possono tranquillamente agire da heel e costruire il feud da una posizione privilegiata. Si adattano bene sia alla semi staticità di Sting che alla velocità di Allin. Infine c’è un punto focale, da tenere bene a mente: POSSONO PERDERE.
Pensate allora al tag match. Dopo circa un mese e mezzo di costruzione, dove i Bucks cercano di ridicolizzare la carriera di Sting. Magari cogliendo dal cilindro una serie di corsi e ricorsi storici: dalla NWA alla WCW, fino alla WWE avrebbero materiale a sufficienza per gestire eventuali confronti al microfono. Non è necessario che vengano a contatto con lui. Con Allin sì. Magari sì. Perché se dobbiamo “accompagnare” il giovane del gruppo, dobbiamo costruirci sopra un corretto viaggio dell’eroe. Dalle difficoltà iniziali al pin decisivo. Magari nel main event di Revolution.
Il match può essere lungo. Ai 15 minuti ci possono arrivare. Pieno di citazioni. Coi Bucks che possono cazzeggiare e vendere il ritorno dei face. E possono perdere, perché questo vuole vedere il pubblico. Deve andare a casa contento d’aver visto un bel ultimo match di Sting, averlo visto vincere e averlo visto passare la torcia al suo studente prediletto.
I Bucks sono funzionali. E sono sinonimo di spettacolo: dentro quel roster, nessuno sarebbe in grado di legarsi meglio alle esigenze del match quanto loro.