Nacque a Little Rock, Arkansas, il 10 luglio del 1924. Morì a St. Joseph, Michigan, il 20 gennaio del 1998. Nel mezzo 74 anni, ma non solo. Nel mezzo anche l’infinito scorrere del tempo che è venuto dopo di lui. Nel mezzo un solco profondo e segnante, che ha permesso ai chi veniva dietro di lui di trovare la propria via, lasciando che uscissero da quella che fino a quel momento era soltanto una corsia secondaria, per finire nella strada dove chiunque poteva passare e dimostrare il proprio valore. 74 anni sono la vita importante di un uomo importante, chiamato Houston Harris.
Il 10 luglio del 1924, quando venne al mondo, Houston era membro di una famiglia numerosa, povera e afro americana. Era il figlio di un uomo che lo lascerà senza vederlo farsi la barba nemmeno una volta, lo lascerà a sua madre e a suo nonno. Lo lascerà in balia dei bianchi, di una mentalità retrograda, razzista. Lo lascerà solo, ma probabilmente, gli trasferirà anche la forza per una lotta, o forse due, che servirà al mondo del Wrestling e al mondo in generale. Gli insegnerà, soltanto venendo a mancare, come tirare fuori da dentro se stesso la forza di combattere, dentro e fuori dal quadrato.
Fu Joe Savoldi a farlo avvicinare al mondo del Pro Wrestling all’inizio degli anni 50. Gli diede un nome che facesse breccia nelle minoranze, come sempre, ma che suscitasse anche un certo fascino per l’esotico, per il latino. BuBu Brazil, questo avrebbe dovuto essere il suo nome. Ma il destino non era quello, il suo nome doveva essere Bobo. E cosi l’errore di un Promoter lo trasformò proprio in Bobo, Bobo Brazil, il gigante sudamericano.
Nel 1951 comincia la sua leggendaria carriera, una sfilza di traguardi sul quadrato ai quali corrispondeva sempre un traguardo sociale. Grazie a Bobo Brazil i Promoter cominciarono a capire che i lottatori di colore non erano poi cosi diversi, poi cosi inferiori. Capirono che un afro americano poteva essere una delle persone migliori del Business, capirono che un afro americano poteva far guadagnare lo stesso denaro di un lottatore “normale”, o considerato tale.
Bobo vinse per ben nove volte il titolo nazionale dell’NWA, un traguardo che nessun lottatore nero era mai riuscito a raggiungere nemmeno una volta. Si mise alla vita quella vergogna del World Negro Title, per dimostrare, probabilmente, che non aveva paura delle sue origini, ma per dimostrare anche che oltre a quello avrebbe potuto vincere tutto il resto, comunicando al mondo, con grande classe, che anche il resto dei suoi compagni afro americani avrebbero potuto farlo. Vinse poi una marea di altri titoli secondari in America, anche nella WWWF e due volte l’NWA International Heavyweight Championship nella Japan Wrestling Association. Non ebbe limiti Bobo Brazil, non ebbe limiti né per lui né per coloro che sarebbero venuti dopo, da Ron Simmons a The Rock, da Jay Lethal a Mark Henry, da Booker T a Kofi Kingston.
Bobo Brazil è stato premiato con l’ingresso nella Hall of Fame della World Wrestling Entertainment nel 1994, quando quelli che lo accompagnavano erano pochi e davvero importanti, non tanto per i titoli vinti, quanto per il loro vero apporto al mondo del Pro Wrestling, in termini di espansione globale e apertura sociale. Bobo Brazil è entrato nella Hall of Fame della National Wrestling Alliance nel 2013, un po’ troppo tardi, si, ma meglio tardi che mai.
In pochi lo conoscono e in pochi conoscono il suo grande valore, e oggi, in questo 2019 nel quale il campione WWE non soltanto è nero, ma anche un vero africano, è giusto dare al grande apripista di tutto questo il suo riconoscimento, perché senza Bobo, probabilmente, non sarebbe stato cosi facile avviare un processo complicato per il popolo e la mentalità degli Stati Uniti d’America.
Un grande Wrestler, Bobo Brazil, ma soprattutto un grande uomo.