Probabilmente non c’è un match così divisivo come il Blood & Guts in AEW. Una riedizione del vecchio War Games, con alcune caratteristiche diverse e nuovi attori dentro la gabbia. Ad alcuni, l’ultimo, è piaciuto. Ad altri (molto) meno. Non vi è dubbio che possa aver divertito e dato diverse emozioni, ma purtroppo le lacune ci sono state e sono state tante. Ecco perché ritengo che come match, soprattutto nella sua narrativa, vada aggiustato.

Abbiamo compreso la morale finale: l’Elite al completo vince su un team disordinato. Che infatti ha visto la defezione di ben due protagonisti, aggiunti in corso d’opera. Omega e compagni hanno giocato proprio sulla debolezza degli heel, sul loro essere poco connessi, e composti da possibili traditori (la storia di Pac e Callis parla abbastanza chiaro). Alla fine, Moxley – che del team dei cattivi doveva essere il garante – ha dovuto assistere inerme allo smembramento. E ha cercato di salvare il pupillo Yuta da una situazione che aveva già vissuto personalmente con Adam Page.

Cosa non va, allora?

La regia della AEW è andata via via, nel tempo, a perdere di consistenza e qualità. Ho ancora nella mente la gestione perfetta del debutto di CM Punk, che fece letteralmente cadere in lacrime tanti fan e fece avere apprezzamenti multipli alla sala di regia. Oggi non possiamo dire la stessa cosa. Si sommano gli spot tagliati, cannati, le situazioni caotiche, la scelta di zompettare da una camera all’altra dimostrando una totale sconnessione con lo script dei match. La sensazione è che la regia vada di rincorsa a quello che va in onda, invece di camminarci di pari passo.

Ma anche il match ha deficitato nella sua struttura. Ci sono troppi tempi morti, poi si arriva di colpo ad una serie di spot che non hanno alcun legame, sono semplice fanservice per far gridare il pubblico. Ma il Blood & Guts è una stipulazione che ha necessità di uno storytelling. La trama è stata quasi inesistente, Pac lascia il team dopo mezza scaramuccia, Takeshita scompare dalla gabbia senza che nessuno se ne accorga (la regia lo recupera quando è già sullo stage), non sono state rinvangate le tensioni tra Omega e Moxley, e non è stato citato nulla della storyline messa in piedi negli ultimi mesi.

Poi è mancata la capacità di fermare singoli momenti. Questo incontro, ahimè, ha poco da offrire alla memoria. Se c’è una cosa che la AEW deve imparare dalla WWE è quella di focalizzare singoli istanti che rimangono nella mente dei fan. Invece tutto avviene con frenesia, a getto continuo, come una corsa contro il tempo. Se il problema è proprio il tempo (televisivo), magari sarebbe ora di spostare l’incontro in ppv. Dove ci si può allargare e si possono trovare soluzioni più rallentate. O magari sarebbe bastato tagliare 6/7 minuti, che male non avrebbe fatto.

Infine Ibushi. Non si può pretendere tanto da un wrestler (stellare) che è rimasto fermo praticamente due anni. Migliorerà la forma fisica col tempo. Ma proprio perché non era al meglio, sarebbe bastato utilizzarlo col contagocce, per pochi spot selezionati. Invece ci sono stati botch, problemi di posizionamento, come se si ritenesse un pesce fuor d’acqua in un match “nuovo” anche per lui.

Ma l’errore (a mio avviso) non è stato solo quello. In pratica è passato come fosse uno qualunque. Specifico: tanti sanno chi è Kota Ibushi. Ma sul suo personaggio è come se la AEW avesse dato per scontato che TUTTI sapessero chi fosse. E chi lo ha visto per la prima volta, con tutte le mancanze, non avrà voglia di andarsi a recuperare i suoi incontri in Giappone o il meraviglioso team con Omega. Tutti dettagli che venivano accuratamente gestiti all’inizio dell’avventura e che ora si stanno dimenticando.