C’è stata tanta polemica dopo il finale dello scorso Dynamite. La vittoria di Powerhouse Hobbs è piaciuta a pochi, in particolare sia per com’è avvenuta e sia ai danni di chi è avvenuta. Ma il problema in questo caso non sono né il nuovo campione, né il suo alleato QT Marshall – che si è liberato della zavorra della Factory giusto in tempo. Si tratta di una accoppiata molto buona per il midcarding, nell’ottica di far crescere l’ex membro del Team Taz in una ulteriore prospettiva. Rendendo più solidi i progressi effettuati in questi mesi: oggi non è più il wrestler un po’ goffo, un po’ legnoso, un po’ smemorato che abbiamo visto sin dall’inizio.

Come dice qualcuno, la coppia Hobbs-Marshall può tenere il titolo TNT anche per un anno. Potrebbe diventare la controparte della cintura TBS, dove c’è una Jade Cargill assoluta dominatrice. Funzionerebbe anche perché le regole che si porta dietro come categoria sono quelle di semplici open challenge, con sporadici feud di tanto in tanto. In una compagnia dove buona parte dei face o difettano di costruzione o sono troppo in alto per il suo status, può davvero sfangarla.

A pesare è tutt’altro. Non la nascita della coppia, visto che tra QT e Powerhouse ci sono state tante interazioni che rendono la storia piuttosto coerente e funzionante. Pesa sicuramente il finale, con poche e neanche tanto pericolose sediate per uno come Wardlow, che già in passato era sopravvissuto piuttosto serenamente a situazioni di questo genere. C’è da dire però che la conclusione arriva dopo tanti minuti di battaglia, dunque nella verosimiglianza, può anche darsi che uno così grande e grosso, stremato dalla fatica, ceda anche a colpi non particolarmente pesanti.

Pesa la gestione stessa di Wardlow. La sensazione è che la crescita troppo repentina non sia piaciuta ai piani alti. Che avevano costruito per lui un percorso ben preciso, e invece lo hanno visto correre più del limite che gli avevano imposto. Neppure tenerlo fuori qualche tempo per farlo recuperare da un infortunio è servito a ridimensionarne lo status. Paradossalmente è come se la AEW si fosse ritrovata tra le mani il Goldberg del 1998. Così forte, così amato, come supportato, che non gli si poteva non dare il titolo massimo. Ma Tony Khan non aveva previsto questo. Non ora. E così si è ritrovato in sella ad una Ferrari in una strada che aveva un limite di 90 km orari. L’unica occasione era quella di ridimensionarlo ancora, proteggendolo (se possibile).

Infine pesa la gestione del titolo TNT. Che ha le sue regole, certo. Ma che ha avuto una gestione molto simile ai titoli secondari della WCW o della WWE. Prima Samoa Joe che non presenzia sempre, poi Darby Allin dal nulla che sboccia nuovamente e torna campione (e difende benissimo la cintura per un mese), quindi di nuovo Samoa Joe (e Allin scompare), infine prima Wardlow e Hobbs. Troppi cambi, alcuni non necessari, ed una narrativa che zoppicante è andata avanti fino all’ultima puntata.