Non si parla altro, giustamente, anche i nostri editoriali girano tutti attorno allo stesso argomento. Non si può parlare d’altro d’altronde, le compagnie di cui scrivo solitamente NJPW e NWA sono ferme e quindi tutte le attenzioni vanno alla mia amata e odiata WWE che imperterrita corre sorridente verso il baratro.
Io ci provo con tutto me stesso, mi sono guardato anche la puntata con i profili delle rivalità di NXT e tutto il resto, AEW compresa, ma niente, è più forte di me, il wrestling a porte chiuse mi fa schifo.
Senza entrare nella questione riguardo la correttezza o meno di fare Wrestlemania, ma a distanza di una settimana sento l’esigenza di sottolinearlo fortemente; la settimana scorsa mi dicevo che è solo questione di abitudine, di non dare troppa importanza all’assenza del pubblico e che alla fine, anche in questa situazione, mi sarei goduto gli show settimanali come sempre, prestando più attenzione ai match o ai segmenti da criticare che all’arena vuota, ma non ci riesco.


Mi rendo conto di aver dato per scontato in tutti questi anni un elemento che pesa tantissimo nel pro-wrestling e in quello nordamericano in particolar modo; il pubblico è la vita stessa, l’ossigeno che serve ai lottatori per “vivere”.
E allora mi interrogo con quale spirito seguire la Wrestlemania di quest’anno, un evento che ha immortalato momenti storici dove il pubblico stesso era lo spettacolo. Il confronto tra The Rock e Hulk Hogan di Wrestlemania 18 non sarebbe esistito senza la reazione di un pubblico spaccato a metà.
Anche nell’ipotesi di vedermi la due giorni senza spoiler dei risultati, l’approccio sarà molto freddo, mancherà quel sorriso ebete che ogni anno mi si stampa in volto vedendo le entrate straordinarie, i fuochi artificiali e quel tarlo che mi dice di organizzarmi per il prossimo anno per esserci. Quest’anno non sarà così.


È un dato di fatto, quest’anno tutto si ferma, anche la WWE si è fermata dal mio punto di vista, anche se sta andando avanti, per me tutto il wrestling vero è fermo. Quello che vedo è solo un allenamento teletrasmesso.
Tutto è rallentato, i lottatori stessi vengono estraniati dalla realtà, durante il match non è più importante l’intesa con il pubblico, durante un promo la telecamera deve stringere sul primo piano per raccontare l’intensità, durante un momento sorprendente si deve incrociare lo sguardo dei commentatori che ci raccontano l’azione con le solite forzature aziendalistiche.
Il pubblico, soprattutto a Wrestlemania, è quello che festeggia, sostiene, critica e fischia; è una fotografia quasi come una democrazia rappresentativa di nostri pensieri e delle nostre speranze.


Queste righe vogliono essere infondo un elogio al pubblico, a noi stessi, vedere il wrestling così è un dolore, principalmente perché si toglie quell’aspetto democratico di questo sport entertainment.