Il mio amato Giappone mi ha un po’ troppo distratto ultimamente, e con il tempo contato, ho messo colpevolmente da parte la NWA. Anche se non l’ho di certo abbandonata. 
Ho seguito tutte le puntate, il ppv Into the Fire e visto che siamo alle porte già del prossimo evento che nel nome cita Dusty Rhodes e uno dei più grandi promo della storia del pro-wrestling; nel suo piccolo si può dire che la NWA ha ingranato. 
Mentre le altre compagnie come ROH e Impact si incartano in show settimanali, ppv, house show ed eventi speciali per i loro network, anche in questo la NWA è più essenziale e asciutta. La formula è semplice: show settimanale su YouTube/FITE e PPV a prezzo abbordabile.


Il wrestling che viene offerto rimane su un livello medio-basso, con pochissimi picchi, ma non importa il “sistema” tiene, con Powerrr ricco di promo e segmenti di una sconfinata varietà e con, anche se potrebbe non sembrare, una grande cura nella scrittura degli stessi. 
Il vecchio sistema, che, come detto decine di volte, non è stato inventato adesso ma semplicemente rimasto impolverato. Lagana ha preso carta e penna (per romanzare concedetemi questa immagine invece di un computer) e ha ripulito sapientemente corpo e anima di alcune ingessature a cui Vince McMahon ci aveva abituato. Vince, per quanto abbia fatto bene al wrestling e rendendolo un fenomeno pop negli anni Ottanta, per fare questo ha dovuto sfrondare la storia della NWA. I wrestler hanno abbandonato la giacca e la cravatta e si sono caratterizzati con gimmick marcate, fino ad oggi che hanno perso questa caratteristica. 


Ripensate al contrasto che c’era nel 2003 tra l’Evolution in giacca e cravatta e tutto il resto del roster. Quello stile, quel “wrestling in giacca e cravatta”, è un modo di essere, è un modo di vivere diversamente.
Il completo, negli anni Ottanta, assimilava i main eventer a veri e propri sportivi di alto livello, rendendo la percezione dei wrestler simile a quella del campione di football del momento.


Era necessario saper parlare, altrimenti l’effetto “Mago di Oz” rimaneva una presa in giro verso il pubblico e chi andava per il titolo mondiale ci arrivava dopo una scalata e un miglioramento in cui forma e sostanza si fondevano.
Ric Flair era il campione NWA perché era un meraviglioso talker e un eccellente wrestler, Dusty lo stesso, Antonio Inoki in NJPW altrettanto. La via più facile e redditizia, però, è sempre stata quella di Vince McMahon, che tutti hanno cercato di replicare.
La NWA attuale è una presenza curiosa e facilmente apprezzabile perché si pone un obiettivo utopico, quello di reiterare quel passato, conscia di non avere a disposizione quei calibri.


Ma in questo spirito la rivalità tra Tim Storm e Nick Aldis, assume ancora più valore e forza a mio avviso. Per comprendere il wrestling, serve una grandissima apertura mentale, in senso assoluto, a qualsiasi livello lo si guardi, dalla WWE fino alle Indy; comprendere il prodotto innovativamente vecchio della NWA necessità di un ulteriore sforzo per essere apprezzato. Mentre mi “arrabbio” se un match della NJPW non viene ben considerato in giro, è esattamente il contrario.
È un prodotto che non fa sconti, lo si ama o se ne rimane indifferenti. A me piace passare un’ora alla settimana con questa capsula del tempo: Question Mark che farfuglia l’inno nazione di uno stato inesistente, il trash talking di Eli Drake e gli sguardi feroci tra Aldis e Storm in giacca e cravatta.


Il wrestling in giacca e cravatta è oggi irrealizzabile, ma almeno proviamoci.