Roman Reigns è il volto della World Wrestling Entertainment. E’ il volto di Smackdown. E’ quel volto che la compagnia da tanto tempo voleva che fosse. Lo è grazie a Paul Heyman e grazie ad una Storyline basata sulla sua leggendaria famiglia, gli Anoa’i. Una Storyline che porterà, prima o dopo, a vedere un confronto fra lui, campione universale e invincibile Monster Heel, con il People’s Champion. Con The Rock. Già, perché Dwayne Johnson, è colui che finisce sempre sulla bocca di tutti quando si parla di “famiglia samoana”, quando si parla di tradizione isolana. Perché è il nome più importante.
Quello che invece, quasi sempre, in molti si dimenticano, è che il cognome di The Rock non è “Anoa’i”. Il cognome di The Rock è “Johnson”. Perché oltre ad essere il figlio di Ata Maivia, a sua volta figlia di Peter “Chief” Maivia, fratello di sangue di Amituana’i Anoa’i, Dwayne è il figlio di Wayde Douglas Bowles, passato all’onore delle cronache come Rocky Johnson.
Attenzione a sottovalutare Rocky Johnson, non solo perché padre di uno dei più grandi lottatori di sempre, attenzione a sottovalutare il suo talento, il patrimonio genetico trasmesso a suo figlio, i suoi successi e la sua importanza in ciò che il Professional Wrestling è diventato.
Rocky non è stato soltanto un accompagnante nella vita di suo figlio. Non è stato soltanto la secondaria ombra di una famiglia che lo ha accolto, accanto a una delle sue figlie. Non è stato soltanto uno dei tanti lottatori ad essere passati per la compagnia di Vince McMahon e che si ricorda ogni tanto, nei video di repertorio e nella Hall of Fame, quella che ormai accoglie tanti lottatori che forse, alla fine dei conti, soffrono troppo delle esclusioni eccellenti. Rocky è precursore, un grande lavoratore e recordman.
Ha fatto quello che nessuno, fino a quel momento, era riuscito a fare nella World Wide Wrestling Federation, ci è riuscito insieme a Tony Atlas. C’è riuscito il 15 novembre del 1983, ad Allentown, Pennsylvania, durante le registrazioni di Championship Wrestling. Sconfisse, insieme al suo compagno, i Wild Samoan, Afa e Sika, e guarda un po’, conquistando i titoli del mondo di coppia. Per la prima volta nella storia, quelle cinture, finivano alla vita di due lottatori afroamericani, non esattamente una cosa facile all’epoca. Vince McMahon gli affidò quelle cinture in momento importantissimo, quando la compagnia decise di staccarsi dalla mamma National Wrestling Alliance per camminare da sola.
Un’icona, in un certo senso, dotata anche di un carisma non esattamente impercettibile. Probabilmente non stiamo parlando di suo figlio, ma non stiamo nemmeno parlando della stessa epoca, delle stesse possibilità, dello stesso mondo. Rocky Johnson aveva quell’elettricità che cattura e che poi, molti anni dopo, suo figlio ha saputo rimescolare e trasmettere attraverso un microfono ogni sera più caldo.
Un fisico grandioso. Uno sportivo eccezionale. Un uomo rispettato da tutti.
Dietro The Rock, dietro Dwayne Johnson, quindi, evitiamo di dimenticarci di Rocky e di ricordarci solo degli Anoa’i, perché è il sangue del suo sangue, in realtà l’unico dei due a scorrere davvero nelle vene della Superstar dell’Attitude Era, perché fra tutti gli ingressi secondari nella Hall of Fame della WWE, questa è senz’altro una delle più meritate, seppur meno apprezzate, di sempre. Rocky non è e non deve essere un ombra che passeggia accanto al resto di una famiglia, deve essere messo al suo posto, in una sedia più robusta di quella nella quale siede adesso. Un trono di roccia per un uomo di roccia, con radici profonde e non con un ramo innestato. Con un’identità propria, unica e inviolabile.