Non poteva ancora dire di avere una sorella che andava in TV, e forse, negli anni successivi, sarebbe diventata una vera stella del Pro Wrestling, come lo era stato suo padre. Non poteva dire di essere stato qualcosa di importante nemmeno lui, nel corso della sua breve vita, o della sua brevissima carriera. Aveva creduto, come ognuno di noi probabilmente avrebbe fatto, di essere un predestinato, un prescelto. Invece in quel momento ultimo, di fronte all’ultima porta, che lentamente si apriva chiudendo i suoi occhi, il suo stomaco e le sue vene per sempre, capiva che stava finendo tutto, e incerto sul perché, e dubbioso se lui non fosse la punizione divina per i peccati di suo padre, del passato, del presente e del futuro, si abbandonò alla lunga notte, l’unica, quando la nostra vita finisce, piena di luce.
Erano dieci gli anni della sua vita la prima volta che salì su un Ring, per vincere. In realtà però aveva respirato Pro Wrestling insieme a sua sorella e al suo fratellastro da quando aveva visto le luci della sala parto. Suo fratello si chiamava David, e non era più talentuoso di lui. Lui si chiamava Reid, e nel decidere di seguire i passi del padre, un certo Ric, aveva scelto la via della fuga. Il circuito indipendente e il Giappone, la All Japan Pro Wrestling per la precisione, erano gli ambienti che lo avevano accolto e avevano cercato di formarlo, tralasciando però, come tutti nella sua vita, il fatto che fosse umano, e come tale, doveva combattere con se stesso e con gli spettri del suo vivere.
Perché non è affatto facile essere qualcuno che vuole essere qualcosa che tuo padre è già stato. Non è facile essere comparato con tuo fratello, cercando di capire chi sia il meno peggio, il meno distante, seppur sempre si parli di anni luce, da una delle più grandi Superstar di tutti i tempi, una Superstar che ti è cosi vicina e allo stesso tempo cosi lontana. Chiudi un occhio per un viaggio in più, chiudi l’altro per evitare un titolo di giornale deprimente, e alla fine non ci vedi più. Sbagli strada, sbagli metodo.
Reid Flair finisce in manette diverse volte, perché guida ubriaco, drogato, senza patente. Finisce in carcere perché reagisce male a ogni cosa, perché diventa apatico, completamente, verso il mondo. La sua stella guida, quella che sempre ha seguito senza capire in realtà dove stesse andando e soprattutto senza mai capire che continuava a muoversi facendogli perdere strada e forze, era sempre più lontana, quando ne aveva bisogno, sempre troppo vicina, quando doveva farne a meno. Suo fratello aveva abbandonato la strada, capendo, al contrario di lui, che i geni, nel loro caso, erano rimasti nascosti. Sua sorella, invece, si allenava duro, sembrava servisse a qualcosa, non come lui, non come il rifiuto del suo corpo e della sua anima.
Sono due le overdose che colpiscono Raid, sono due le overdose di eroina, una droga che tanto sa di vecchio, ma che non ha mai cambiato il suo potere distruttivo, non ha mai smesso di spegnere il cervello lentamente, non ha mai smesso di far vomitare, di aggrovigliare le membra, di rendere elettrici fino al punto di voler morire. La terza, di overdose, quella del 29 marzo del 2013, purtroppo, è quella fatale. Come tanti muore solo, riverso sui suoi stessi liquidi, sull’alone lasciato dalla sua anima, che mentre cercava di uscire dal suo corpo, sporcava il letto di un nero denso e petrolifero. Lasciò su quelle lenzuola tutto il male che aveva accumulato in anni, come una prova che nascere non solo con la camicia, ma anche col portafogli e con una Big Gold Belt alla vita, non è sempre qualcosa che può essere sostenuto. Non da tutti.
Reid Flair se ne va, lascia David, suo fratellastro, Ashley, sua sorella, e Ric, suo padre. Lascia un mondo al quale non avrebbe dovuto venire, nel quale, forse, gli dei lo hanno scelto per punire suo padre, come lui pensava. Per punire un uomo che aveva fatto della sregolatezza e della lussuria più profonda una ragione di vita, non ripagando ciò che gli era stato offerto, un talento smisurato con il quale ha potuto scrivere pagine di storia, una delle quali, purtroppo, è tutta nera con un solo nome al centro: Reid.
Il suo fascio di luce però, quello della sua anima ripulita dal denso torpore oscuro che ha avvolto Reid nella sua vita, illumina ancora qualcuno in questo mondo. Qualcuno che sta cercando di ricalcare sul serio ciò che suo padre ha fatto, qualcuno che sta dedicando la sua carriera a lui, qualcuno che dall’alto della sua grandezza, ormai, sta lavando l’onta di un fratello troppo criticato e maltrattato. Qualcuno che, con lui sempre accanto, espande la luce del suo io, fondendola a lei in un unico nome, in quella che è ormai, nel bene e purtroppo nel male, la leggenda di una famiglia.