La prima volta in cui vidi Drew Parker sul ring era in un video di una piccola promotion inglese in cui si mostrava secco, agile ma tutto sommato acerbo. La sensazione era che potesse via via prendere la strada di molti colleghi che, approfittando del periodo favorevole, stavano marchiando a ferro e fuoco il mondo tra mosse di high flying, storytelling e spotfest esagerati. Invece, ad un certo punto, ha preso una strada diversa. Ad un certo punto ha iniziato a praticare i death match.

Ha solo 23 anni ma sembra che abbia già vissuto una vita intera. È giovane ma già ben inserito nel contesto dei death match grazie alla ottima esperienza in BJW, dove in pochi anni ha evoluto il suo stile di lotta, ha integrato gli spotfest nell’ultraviolent e si è permesso di superare degli autentici fenomeni come Alex Colon, Takumi Tsukamoto, Abdullah Kobayashi, Yuki Ishikawa, Ryuji Ito, Violento Jack e Jun Kasai. Sì, insomma, mentre il 99% degli europei va in Giappone per imparare la nobile arte del wrestling tradizionale, lui ha deciso di virare verso altri lidi.

Tutto merito del suo primo insegnante, Jimmy Havoc. Dall’ex campione Progress ha preso tutte le abilità in questo genere di match, la resistenza al dolore, la volontà di andare anche oltre, utilizzando (o subendo) colpi decisamente pericolosi – anche se efficaci per il piacere del pubblico. Per questo motivo la GCW non solo l’ha ospitato nei suoi ultimi due show, ma gli ha anche permesso di lottare nel main event contro un proprio beniamino come Jimmy Lloyd.

Sono cresciuto col culto della ECW e della CZW” ha spiegato in una intervista. “I miei idoli sono Trent Acid e ‘Sick’ Nick Mondo, hanno influenzato molto il modo in cui mi sono voluto presentare sul ring. Quando sono stato chiamato a combattere nel Tournament of Death, ero felicissimo. I miei maestri? Jimmy Havoc, Clint Margera e Mikey Whiplash”. Con queste prospettive non poteva che diventare un grandissimo protagonista della scena ultraviolent.