Il wrestling è sinonimo di divertimento e intrattenimento, penso non ci siano dubbi. Ecco, la Game Changer Wrestling la scorsa settimana è riuscita in questo intento. Ha creato la bellezza di quattro show, uno più bello dell’altro, uno più ignorante dell’altro, uno più violento dell’altro, uno più pazzo dell’altro. L’essenza del wrestling racchiusa in diverse ore di spettacolo senza fronzoli, studiati e messi in pratica senza alcun limite mentale, dando sfogo alla fantasia.
Il risultato? Il Bloodsport è già uno dei papabili show of the year. Dopo la deludente edizione 2018, quella di quest’anno è stata una bomba. Già dallo scontro tra Masashi Takeda e Jon Gresham si sentiva qualcosa di magico nell’aria. Poi sono arrivati Timothy Thatcher vs Hideki Suzuki e quel portentoso main event da 20 minuti tra Minoru Suzuki e Josh Barnett, che tanto bolliti non sono, anzi. Hanno unito wrestling e MMA senza mai annoiare, ma anzi convincendo i presenti come l’unione fosse la soluzione ideale.
Il giorno successivo era il più atteso. Prima di tutto per l’Orange Cassidy show, creato all’ultimo per il forfait della NOVA e rivelatosi una sorpresa incredibile. C’erano tutti i presupposti e sono stati rispettati: lunghi minuti di risate e lacrime per il 7 out of 13 Falls Match tra Chris Brookes e Logan Leroux, Jigsaw che vince un buono fast food in un veloce e atletico Scramble Match, Martina The Moth e Nate Webb che se la giocano a chi è più rozzo e bevitore di birra, Teddy Hart col gattino, una gara di dodgeball con una serie di suicide dive pazzeschi e il match da un minuto tra Chuck Taylor e Trent Barreta con un suo senso logico.
Poi c’è lo Spring Break. In due notti di follia. Joey Janela ha unito un certo giovanilismo americano dei primi anni duemila al wrestling attuale, con una spruzzata di trashismo chikariano e i frequentatori dei peggiori bar degli Stati Uniti. Qua serve la lista, perché le cose accadute sono state davvero tante:
- Lo stesso Janela, dato tra i favoriti dello show, ha jobbato a due nuove leve, due ragazzini talentuosi come Jungle Boy e Marko Stunt
- Jungle Boy che ritorna dopo la morte del padre Luke Perry e fa due match, uno più bello dell’altro
- Un match con un disabile senza gambe che fa la 619 meglio di tanti messicani e che crea un match spettacolare con Tony Deppen
- Virgil, icona del wrestling anni ‘90, che vince un match per roll-un travestito da Starman – vecchio personaggio di Janela di qualche anno fa
- Takeda e Lloyd che si sfasciano a suon di neon, tagliaerba e vari oggetti contundenti in un pericoloso death match
- I Rock’n’Roll Express che non sfigurano contro i LAX
- LA Park e Masato Tanaka che danno un saggio dei loro bei tempi prendendosi a ceffoni e a sediate, che il 1999 è ancora qua ad applaudirli
- Una Royal Rumble chiamata Clusterfuck in cui si elimina l’avversario facendolo volare sopra la terza corda o via pin; che vede tra gli ospiti personaggi conosciuti come i Cryme Time, Swoggle, NWO Sting, Essa Rios, Homicide, Teddy Hart, Necro Butcher, Tracy Smothers, Rich Swann, Joey Ryan, Mantaur assieme a tutto il roster GCW; e che si chiude con… una Women’s Revolution reale, con un gruppo di donne che malmena gli uomini, si piglia la scena e schiaccia l’organizzatore (Janela). Dopo di che la scritta “Signal Lost”, come se avessimo visto un vecchio programma degli anni ‘80 chiuso in diretta per un qualche motivo.
Il capolavoro però è arrivato nella prima serata. Invisible Man vs Invisible Stan è stato un lampo di genio a cui tutti hanno dato una mano importante: l’arbitro Bryce Remsburg ha fatto da cicerone ad un incontro di fantasia, ha narrato fisicamente quanto stesse accadendo; il pubblico è andato dietro coi cori e col tifo; l’interferenza di Kikutaro è stata perfetta per dare più pathos alla sfida; il tavolo fintamente sfondato e il suicide dive dalla balaustra il segno tangibile di una disciplina che può arrivare ovunque pur di far divertire.
Quando mai avremmo avuto l’occasione di vedere una cosa del genere altrove? Servono due attori principali: una compagnia che voglia puntare su questo tipo di prodotto; e un pubblico che abbia voglia di recepirlo. La GCW e i suoi fan (sempre più numerosi) sono ormai una entità unica che si supporta a vicenda, creando in ogni occasione un evento nell’evento.
Ecco di cosa avremmo bisogno maggiormente ogni giorno: di ridere, sorprenderci. Di metterci davanti ad uno schermo o davanti ad un ring e apprezzare ogni momento passato a guardare uno show. Non è una cosa semplice, il rischio noia è sempre dietro l’angolo. La GCW ha fatto un ottimo lavoro, ha tenuto impegnati i fan indy per quasi 8 ore in tre giorni senza mai scendere di livello.
(Foto credit: Earl Gardner)