Il Minnesota degli anni ottanta era una delle terre ideali se volevi diventare un Professional Wrestler.
Se avevi qualità, ti impegnavi e non creavi problemi, il Backstage della American Wrestling Association era pronto ad accoglierti, ad allenarti. Verne Gagne era già una leggenda prima di diventarlo ed allora erano pochi gli allenatori migliori di lui. Se poi tuo padre era stato un grande Wrestler ed in quella compagnia aveva avuto i suoi più grandi successi, diventando un’icona incancellabile, il gioco era fatto.
Fu per questo che alla fine degli anni settanta, poco più che ventenne, Curtis Michael Hennig, prese posto nella scala che lo avrebbe portato in cima alla gloria proprio partendo dalla AWA dei Gagne. E si vedeva da subito che non gli mancava nulla. Un talento cristallino, smisurato. Non gli mancava l’atteggiamento sprezzante che ti fa sentire sicuro di te. Non gli mancava il talento naturale, la tecnica sopraffina. Non gli mancavano mai le parole sulla lingua e le espressioni giuste.
Fu solo l’inizio di una carriera che lo avrebbe consacrato come l’uomo perfetto, per tutto. Qualche anno più tardi provò il salto, il primo, verso la World Wrestling Federation, una compagnia che si apprestava a staccare tutte le altre imponendosi negli Stati Uniti come la compagnia più influente e ricca. Ma fu solo uno step. Tornò senza patemi in Minnesota quando si rese conto che non era ancora il momento e qui, sconfisse Nick Bockwinkel laureandosi campione del mondo. Adesso si, adesso era pronto. Salutò suo padre, il suo allenatore Verne Gagne, Diamond Dallas Page e Tonya. Partì di nuovo verso Stamford, verso la perfezione.
Fu qui infatti, che nacque e visse, l’indimenticabile Mr Perfect.
Non era davvero cosi perfetto come ci mostravano Curt, anzi, ma il suo modo di abbracciare le idee altrui e la capacità di rendere ogni cosa che toccasse credibile, lo trasformarono nella migliore macchina da Ring che calcasse in quel momento i quadrati del Connecticut in singolo. Le Gimmick spesso derivano da qualcosa di reale, di vero, e la sua derivava dalla perfezione con la quale portava a segno le sue manovre, i suoi promo, i suoi piccoli gesti.
Nonostante tutto però, la World Wrestling Federation non vedeva in lui quel campione del mondo capace di dare battaglia ad Hulk Hogan, a Macho Man Randy Savage, ad Andrè the Giant. Non c’era spazio per lui. Qualcosa quindi cominciò a turbarlo, il fatto di non poter andare oltre un titolo intercontinentale lo faceva sentire piccolo, inferiore a quello che in realtà era e ormai rappresentava. Più impegno allora, più fisico, più attività. Entrò qui, Curt Hennig, in quella spirale assassina che trascina e trascinava decine di sognatori in discesa libera.
La coca. Gli steroidi. I painkiller. Eppure per un momento capì che forse il mondo poteva non fregarlo, ma poteva fregare lui il mondo. O meglio truffarlo. Non si sa se questa storia sia reale oppure no, ma qualcuno afferma che il suo infortunio alla schiena, il più importante, quello che lo tenne fuori un anno, fu una vera e propria esagerazione, cosi da incassare il compenso l’assicurazione stipulata con i Lloyd di Londra. Un sacco di soldi. Nessuno sa come andò, anche nell’essere disonesto, fu semplicemente perfetto.
Tornò sul Ring il buon Curt, ma ormai certe cose erano perdute. World Championship Wrestling, di nuovo World Wrestling Federation, poi Entertainment e in fine Total Nonstop Action. Ma niente. Certe cose, erano proprio perdute. Era perduta la voglia di salire sulla vetta di una montagna che aveva trovato troppo dura e che lo aveva trascinato nel baratro di un sentiero sotterraneo. Era perduta la capacità di essere perfetto. Più nessun canestro da metà campo. Nessun lancio e ricezione. Nessuna buca. Nessuna steccata proverbiale. Niente. Tutto era solo minimizzato al combattere, cercare di somigliare a ciò che era prima e poi di nuovo di corsa verso lo spogliatoio, verso la borsa, verso la morte.
Il cuore di Curt si indeboliva giorno dopo giorno, fino a che non si fermò. Era il 10 Febbraio del 2003. Overdose da cocaina. Un’intossicazione che lo portò dritto al creatore, distruggendo un cuore già troppo debilitato dagli antidolorifici e dagli steroidi. Morì solo, in un stanza d’albergo, come la più classica storia triste. In quel momento Curt si liberò da tutte le sue paure, dai suoi ricordi fallimentari, dai suoi traguardi mai raggiunti. Dopo la AWA, dopo il titolo del mondo, dopo la WWF. Dopo ore di Wrestling, di commento, di matite lanciate ed afferrate, di asciugamani fatti fluttuare in aria, dopo anni di perfezione, la vita chiede il conto. Un conto più salato del previsto, dell’immaginabile, come sempre.
Ha avuto meno di quello che meritava Curt Hennig. Ha avuto meno di quello che meritava Mr Perfect. Però oggi, fra Hall of Fame e WWE Network, possiamo riconoscere uno dei migliori atleti professionisti che abbiano mai calcato un Ring di Wrestling. Un lottatore che anche oggi, avrebbe potuto tranquillamente combattere in qualsiasi angolo del globo senza sfigurare, un Cesaro con i capelli lunghi e biondi, un Dolph Ziggler più ordinato e preciso, un Daniel Bryan più sano e metodico. Insomma, un Wrestler perfetto.