La vittoria degli Usos nel main event dell’ultima puntata di Smackdown ha segnato un momento storico per il team ma soprattutto un momento storico per la WWE. Jey e Jimmy entrano di diritto nei libri di storia con un premio decisamente meritato per la qualità messa sul ring in tutti questi anni (sorvolando sulle loro vicissitudini fuori dalle scene).

Ma questo successo sancisce anche il ritorno ufficiale della gestione interbrand dei due roster, Raw e Smackdown. Come anticipato da diverse notizie e dalle storyline mostrate in tv, la WWE ha deciso di ritornare indietro di qualche anno proponendo un gruppo di wrestler che si muove da uno show all’altro con l’obiettivo di far salire gli ascolti, coi principali attori impegnati tra di loro per portare avanti le storyline. Ma, come si sa, l’interbrand porta vantaggi e svantaggi. Vediamoli assieme.

Interbrand

Per me fan, avere Orton e Riddle sia a Raw che a Smackdown è un fattore positivo. Mi piacciono, li voglio seguire. Sono pronto ad accogliere il saturamento della loro esposizione, ci sta. Stessa cosa per Roman Reigns, per Bianca Belair, Ronda Rousey, Sami Zayn, magari Gunther, Becky Lynch, Seth Rollins. La lista può proseguire. E posso avere, da fan, la possibilità di vedere live i miei atleti preferiti, senza dover aspettare che l’uno o l’altro show venga nella mia città.

Non devo attendere anni o ppv come Royal Rumble per vedere atleti di roster diversi competere tra loro. Ogni ppv è un evento. Ogni show televisivo è un evento. Posso solo divertirmi.

Via dunque l’eccezionalità di un monobrand. Meno spazio ad alcuni atleti, sovraesposizione per altri, che si tramuta anche in maggiore stress per loro. Possibilità di vedere alcune storie trattate con superficialità, o con inutili filler che non aggiungono nulla alla profondità di un feud. Via il draft (a questo punto inutile), più competitività generale.

Monobrand

Rimane il draft e l’attesa che si porta dietro. Rimangono le sfide di Survivor Series (anche se ultimamente ne faremmo a meno). Più spazio a tutti gli atleti, ognuno con la propria collocazione. Più scalabilità nelle gerarchie del brand, maggiore riconoscibilità di alcuni wrestler con lo show (come accaduto in passato con Rey Mysterio e Undertaker a Smackdown, ad esempio).

Aggiungiamo una maggiore compattezza delle storie, che passano da un ppv all’altro con la giusta direzione, senza momenti morti e con la capacità di saper rendere la narrazione più solida. Non è un caso che per molto tempo Smackdown è stato il miglior show della settimana con questo percorso. Di contro però, a seconda dei periodi, si rischia anche che gli show diventino piatti o che diano troppo spazio a feud di bassa portata qualitativa (com’è stato di recente Madcap Moss vs Happy Corbin).

Dunque, cosa scegli?

Io sono pro monobrand. Forse è una questione di esperienza: i momenti che ricordo con maggiore piacere sono legati o a Raw o a Smackdown. E non c’è nulla che possa sostituire l’attesa del draft, la sua attesa, capire chi cambia squadra e cosa ne sarà della sua carriera. Certo, è stata una pratica un po’ fine a se stessa negli ultimi anni, ma comunque ha un’aura che non molte altre situazioni possiedono.

Gli incroci sono belli quando speciali. Quando sei sicuro che per molto tempo non accadranno più. Shawn Michaels vs Kurt Angle funzionò proprio per questo, legato ad un ppv in cui gli ha incroci assumono maggiore senso. I capisaldi dei due show si ritrovano per qualcosa di unico. Se capita ogni mese, o ogni settimana, si perde quell’aurea di inaspettato che ogni tanto ci (mi) piace vedere.

Giornalista professionista ed esperto di comunicazione, dal dicembre del 2006 è redattore di Zona Wrestling. Negli anni è stato autore di rubriche di successo come il Pick The Speak, Wrestling Superstars, The Corey Side, Giro d'Italia tra le fed italiane, Uno sguardo in Italia, Coppa dei Campioni, Indy City Beatdown e tante altre. Il primo giornalista in Italia ad aver parlato diffusamente di TNA ed AEW su un sito italiano di wrestling.