Premettiamo una cosa: non ho la velleità di parlare di massimi sistemi accostando il tutto ad un argomento triviale come il wrestling, né tantomeno voglio arrogarmi il diritto di poter effettuare valutazioni dal basso della mia soggettività, tra l’altro utilizzando impropriamente l’opportunità che mi viene concessa scrivendo su zonawrestling dal mio amico Giovanni. Ciò che vorrei fare con questo articolo è iniziare un dibattito con una comunità attenta come la nostra, in modo da far sorgere qualche spunto di riflessione sul tema delle discriminazioni (o presunte tali) legate al nostro mondo preferito. Mi farebbe piacere sapere cosa ne pensate, ecco.
Nella stessa settimana in cui scoppia il caso Jordan Myles, la WWE riesce a strappare a Crown Jewel una storica conquista, ossia il primo match femminile in terra saudita. Un evento storico, importante, assolutamente da non sottovalutare.
Nel contempo, lo spettatore di wrestling salta in un warp spaziale trovandosi a Verona: siamo in Italia, e mentre può essere atipico seguire il wrestling seguire il calcio è invece quasi un dogma. I discorsi sono collegati da un fil rouge, seguitemi. Balotelli, il cui ultimo dei problemi è il colore della pelle alla luce di comportamenti quasi sempre sopra le righe in grado di seppellire un talento da potenziale pluri Pallone d’Oro, viene per l’ennesima volta bersagliato da cori razzisti da uno sparuto gruppo di sostenitori della squadra avversaria: un episodio analogo aveva colpito Lukaku poche settimane prima.
Entrambi i casi sono stati oggetto di solidarietà da parte di alcuni e di banalizzazione da parte di altri (con ruoli istituzionali, il che aumenta la gravità della cosa), probabilmente la reazione peggiore di tutte: minimizzare, sminuire o circoscrivere atti di questo tipo solo ad un “mondo fuori dal mondo” come uno stadio è proprio il germe inestirpabile di un problema millenario, l’hummus di cui questo male si nutre per non morire e rimanere latente in molte anime. Finché non si prenderà seriamente coscienza di questa drammatica realtà, avremo dei lifting di tolleranza ma la forma aberrante di alcune interiorità sarà sempre e comunque mostruosa. E da qui, mi lego al discorso WWE.
Che la Federazione di Stamford abbia, ed abbia avuto in passato, grosse difficoltà nella gestione di lottatori appartenenti a minoranze è notizia palese e conclamata: Saba Simba, Papa Shango, Kaientai, Mexicools, Virgil, Kenzo Suzuki, Muhammad Hassan e via discorrendo, una lunghissima trafila fatta di luoghi comuni, offensivi senza paura di esserlo in modo ostentato e palese. Anche la gestione delle wrestler femminile, per decenni, è stata limitata ad un’esigenza maschia di vedere belle donne poco vestite e poco altro: lottatrici oggettivate, relegate a ruoli spesso poco edificanti (o umilianti) con la scusa di essere “enpowering”, manipolatrici e scaltre. I bra and panties match sembrano preistoria, ma non è affatto così.
Oggi il volume è stato abbassato e di molto, ma il Direttore d’orchestra è sempre lo stesso: non si può non constatare come, nonostante i continui sforzi anche apprezzabili sotto certi punti di vista, la sostanza alla base fatichi a mutare in modo adeguato ai tempi che corrono. Il caso di Jordan Myles è stato per me uno spunto, il tutto non è stato gestito bene né dalla Federazione, né tantomeno dall’interessato, che forse ha intravisto in questa terribile uscita di marketing una occasione propizia per potersi togliere molte pietruzze pregresse dalle scarpe. O per mandare un messaggio alla dirigenza.
Il discorso è stato sviscerato in modo piuttosto completo da più parti, dunque non mi soffermerei più di tanto sulla maglia o sulla battaglia iniziata sui social, piuttosto userei questo evento come punto di partenza per altre tipologie di considerazioni, meno evidenti ma forse più indicative di un singolo, seppur clamoroso svarione di PR.
Quanto accaduto a Kofi Kingston, per quanto mi riguarda, ha dell’incredibile. Uno stint durato mesi, un Campione protetto e forte che riesce a prevalere in modo pulito contro grandissimi nomi…che perde in uno squash match contro Lesnar. Va bene direte voi, il risultato può starci e prima di lui ci sono passati Orton e Cena, due delle stelle più brillanti degli ultimi 15 anni in casa WWE, dunque non vi è nulla di sconvolgente…ma il problema è sorto dopo.
Kofi Kingston è tornato nel midcard subendo quasi un’amnesia circa i suoi ultimi 7 mesi di main event, non facendo menzione minima circa la volontà di metter le mani su Brock o lavare l’onta di una sconfitta cocente dopo un lungo periodo costellato di altisonanti vittorie. Il colore della pelle qui forse non c’entra, o forse si: il trattamento subito da questo lottatore è quasi senza precedenti, è grave ed è estremamente dicotomico rispetto ad una gestione, per lungo tempo, apparentemente oculata. Una mancanza di delicatezza che forse, vista la situazione, avrebbe meritato maggiore cautela ed attenzione: la stessa cosa non sarebbe mai accaduta ad un Rollins o ad un Cena, per dire due nomi caucasici.
Appena 5 anni fa McMahon, nel corso di uno dei podcast di Austin sul Network, dichiarava che Cesaro sarebbe rimasto nel midcard a vita perché svizzero, dunque potenzialmente inabile. Lo stesso McMahon ha messo assieme, pochi anni fa, tre luchador estremamente promettenti tramutandoli in degli animatori messicani, gioiosi nel perdere sistematicamente e concentrati solo su piñata e tacos: rispetto ai Mexicools è cambiata solo l’entrata con i tagliaerba e poco altro. Sempre il nostro demiurgo ha messo a capo di un gruppo LGBT un eterosessuale, giusto per la vaga androginia delle sue espressioni facciali, chissà. La stessa WWE ha riaperto le porte ad Hulk Hogan, un elemento in grado di apportare un valore aggiunto nella migliore delle ipotesi marginale nel 2019 e che pochissimo tempo fa si era reso protagonista di eventi davvero poco piacevoli. Un caso la sua interazione di CJ con Byron Saxton? Non credo.
Ed intanto, nonostante questo problema endemico che forse andrebbe affrontato una volta per tutte ed in modo radicale e misure draconiane, si parla di rivoluzione femminile, del nuovo ruolo centrale della donna nel wrestling attuale, della svolta epocale avvenuta a Crown Jewel. Tutto bello, tutto vero, ma resto dell’opinione che se Vince avesse avuto due figli maschi staremmo ancora all’epoca dei pillow matches, e se non vi fosse stata una vera sommossa popolare sui social forse la chance alle Divas sarebbe ancora in cantiere: doveroso ricordare la forzosità con cui tale rivoluzione è iniziata, con la creazione di stable dal nulla che hanno iniziato a malmenarsi senza obiettivi logici e senza motivo.
Tali dettagli denotano una volontà autoimposta e forzosa di voler cambiare i propri approcci in modo non convinto, riscrivendo la storia ed esprimendo un entusiasmo dove finalmente è arrivato il momento della rivoluzione, del cambiamento, della svolta…ignorando o sottacendo che monarca e rivoluzionario sono da sempre sovrapposti, paritetici, siamesi e la corona di alloro che ci si pone sul capo oggi ha esattamente lo stesso colore del presunto giogo che attanagliava.
In conclusione, mi auspicherei da italiano e da seguace del wrestling che vi fosse una vera rivoluzione di pensiero fatta di sostanza e non di forma, di indignazione e non sminuimento, di consapevolezza e non di auto-imposizione. A volte penso che come società a livello globale si stiano facendo molti passi indietro, dando libero sfogo a pulsioni poco edificanti che sino a poco tempo fa pudore e sensibilità imponevano di reprimere o sottacere: il wrestling in questo contesto così vasto si colloca come un’espressione leggera e scanzonata di una realtà parallela ma contemporanea, e come tale dovrebbe sempre essere esempio virtuoso e mai caso di scuola.
Ansioso di sentire la vostra, scusate se a sto giro sono andato “fuori tema”.