Tutto parte da una notizia, la quale si limita a riportare un dato, una statistica: la Royal Rumble maschile del 2021 è stata la più “vecchia” di sempre, facendo la media dell’età dei trenta atleti coinvolti; di questi, solo due wrestler under trenta, ossia Otis e Dominik Mysterio. Da lì se ne sono dette di ogni, si sono riportate voci di corridoio d’ogni tipo, sino alla notizia di qualche giorno fa secondo la quale la WWE vorrebbe adoperare una politica di “svecchiamento”, cercando di ingaggiare atleti più giovani, possibilmente tutti under trenta.
Visto che ultimamente pare che l’anzianità sia divenuta il male assoluto in WWE, ci terrei a dare il mio modesto parere sulla questione. E dato che di secondo nome faccio “cerchiobottista”, vi anticipo che nella prima parte di questo articolo mi schiererò in difesa della politica del “vecchiume”, nella seconda invece proverò a trovare i lati positivi nella politica dello “svecchiamento”.
Anzitutto, a me pare evidente che la WWE punti ad essere la compagnia dei migliori, e con i migliori intendo “tutti” i migliori. Chi guarda la WWE deve essere cosciente che vi troverà AJ Styles, che dopo anni in giro per il mondo ha deciso che la WWE era il luogo migliore; vi troverà la stella della NJPW Shinsuke Nakamura, i tag team di Impact Wrestling, l’ex campione NWA, l’ex campionessa della Stardom, i migliori talenti della Progress, della Evolve, della ROH, tutti lì in WWE, perché la WWE è la compagnia dei migliori. Questa è una precisa scelta di marketing, che con un roster pieno di atleti “made in WWE” avrebbe tutto un altro significato: difficile dichiararti la compagnia dei migliori se poi quei “migliori” sei tu a dire che lo sono, semplicemente perché te li sei presi e cresciuti in casa.
Fatta questa premessa, vi è una sola conseguenza logica: tra i migliori non ci sono giovani. Esistono i fenomeni e su questo siamo tutti d’accordo, ma se provate a pensare ai wrestler considerati al top del periodo, dubito che gli under 30 saranno poi così tanti. Perché il talento conta, ma conta anche l’esperienza, conta il tempo che impieghi per farti un nome e questo livello difficilmente un venticinquenne lo raggiunge. Pensate anche ai wrestler che considerate al top al momento e cercate di ricordare com’erano cinque o dieci anni fa, pensate allo stesso AJ Styles e a quanto sia “maturato” nel corso degli anni. Per citare Luca Grandi, “un wrestler i match migliori della sua vita li fa intorno ai trentacinque anni” ed io non potrei essere più d’accordo. Sono convinta che la WWE di un Will Osprey o di un Jay White del 2015 se ne sarebbe fatta poco o niente, mentre adesso le fanno decisamente gola.
La politica dei migliori coinvolge ormai anche NXT, dove l’età media è sicuramente inferiore rispetto a quella del main roster (vado a intuito, non ho dati alla mano). Perché NXT, sebbene sia sulla carta ancora il territorio di sviluppo, dove i talenti messi sotto contratto possono crescere e farsi le ossa in un ambiente più protetto, nei fatti ormai ha la nomea di offrire “le migliori ore di wrestling della WWE”. Abbiamo parlato spesso del “terzo roster”, ma stando così le cose la qualità richiesta in ring si è notevolmente alzata. I giovani talenti da formare ci sono ancora, ma devono essere bilanciati da grandi nomi che mantengano la qualità ad un alto livello, così come ci si aspetti dalla miglior compagnia di wrestling al mondo.
Va poi considerato che la WWE dia a questi talenti un’occasione di crescita, che permette loro, già “i migliori”, di esserlo ancora di più. Certo, provando a ipotizzare quale sarebbe stata la carriera di questi atleti se non avessero mai firmato con la WWE si potrebbero creare tanti scenari migliori, ma persino un wrestler come AJ Styles, già forse il più affermato al mondo, è riuscito a migliorare se stesso ancora di più da quando è in WWE. Pensiamo anche al lavoro ottimo fatto con la Undisputed Era ad NXT. Pensate a Seth Rollins, al suo periodo in Ring Of Honor, pensate a quando ha debuttato con lo Shield, perché io mi ricordo molto bene chi diceva che una volta splittato lo Shield sarebbe finito a fare lo “spot monkey”, “alla Jeff Hardy” e via discorrendo. Non nego che ci siano anche esempi in cui la carriera di un wrestler in WWE ha arrancato e una volta lasciata la compagnia sia potuto emergere tutto il suo potenziale, ma credo che sarebbe anche scorretto pretendere dalla WWE un utilizzo sempre al top di tutti i suoi atleti (che senza contare il Performance Center viaggiano tra i 250 e i 300 nomi) senza eccezioni.
Certo, in questo modo il roster si riempie di talenti che spesso vengono mal utilizzati. E su questo punto ho una teoria forse un po’ cinica, ossia che la WWE si tenga tanti, tantissimi atleti di riserva, così che se qualcuno di loro fosse impossibilitato a lottare ce ne sarebbe già un altro pronto a prendere il suo posto, un po’ come gli squali con le file di denti pronte nel caso ne perdessero qualcuno. Certo i wrestler poco utilizzati potrebbero essere lasciati liberi di esibirsi da altre parti, in modo che i loro nomi rimangano al top, per poi richiamarli al momento opportuno, ma davvero io WWE dovrei rischiare che un mio talento si fratturi una gamba o si strappi un quadricipite ad uno show indipendente? I don’t think so. Come le grandi squadre di calcio possono permettersi di tenere in panchina giocatori che ad altre società servirebbero come il pane, così la WWE, semplicemente, “può”.
Da una parte abbiamo quindi due motivazioni a questa continua ricerca dei migliori: la prima che io continuo a difendere, ossia promuovere una precisa immagine e la volontà di offrire il miglior prodotto possibile; la seconda, più cinica e sicuramente meno condivisibile dal punto di vista etico, avere sempre un piano B disponibile.
Spero di aver chiarito un punto per me fondamentale, ossia che un nome giovane non può fisiologicamente darti la stessa qualità di un wrestler navigato. E qui parlo in generale, senza fare paragoni ad cazzum come mettere al confronto le abilità di un Austin Theory con un Baron Corbin.
Tuttavia, sarebbe sciocco affermare che la WWE possa smettere di crearsi in casa i propri talenti. Perché parte fondamentale della politica dei migliori, dell’essere migliori, deve anche essere il poter prendere un talento grezzo, un talento inesperto, e trasformarlo nel meglio del meglio. Se i wrestler “made in WWE” risultassero sempre peggiori dei loro colleghi indipendenti, la WWE non ci farebbe certo una bella figura.
Piccola parentesi: ovviamente definire quale possa essere un wrestler “made in WWE” è difficile. Siamo tutti d’accordo che nomi come Ciampa, Gargano e gli UE avessero già una certa nomea, ma quando il confine è più sottile? Ad esempio tutti i wrestler che pur lottando da anni non sono riusciti a farsi un nome? I wrestler che hanno mosso i primi passi, uno o due anni, nelle indy e poi sono stati assunti al Performance Center? Wrestler che vengono allenati nelle scuole di altri wrestler e poi grazie a questi ottengono un tryout con la WWE? Oppure per considerarti un “made in WWE” devi necessariamente non esser mai salito su un ring in vita tua e prenderti il tuo primo bump della carriera su un ring di Orlando? “Rigore è quando l’arbitro fischia”, mi verrebbe da dire.
Preso atto che definire un wrestler come un prodotto della WWE è difficile, so che basterebbe avere dei buoni talent scout che scandaglino le compagnie indipendenti per trovare quei wrestler che potrebbero avere del potenziale, senza attendere che siano già dei nomi affermati, prendere quei giovani ragazzi, prendersi quei tre-quattro anni per renderli materiale da main roster e poi mandarli in televisione pronti a “svecchiare” l’ambiente, con tanta curiosità da parte anche dei fan più smart, che non avendo una gran conoscenza di questi nomi sarebbero molto curiosi di scoprire cosa sono in grado di fare.
La capacità di scovare talenti grezzi, la capacità di creare dei futuri main eventer quasi dal nulla, deve continuare ad essere presente in WWE.
Non sono una grande conoscitrice delle compagnie indipendenti e non mi sono messa a spulciare ogni singolo nome sotto contratto al PC di Stamford; tuttavia, credo che la WWE non abbia mai smesso di coltivare in casa i suoi talenti, di dare una chance a persone con pochissima esperienza, o di puntare anche sui giovani. Potrebbe fare di più? Magari sì, anzi, indubbiamente sì. Ma non perché giovane sia automaticamente sinonimo di migliore, non perché è sempre meglio assumere un venticinquenne piuttosto che un quarantenne, ma perché, appunto, non puoi definirti il migliore se non sai anche crearteli da solo, i migliori.
In conclusione, vorrei rivolgere a tutti un invito alla calma. La WWE non si sta trasformando nel reparto geriatrico del policlinico Gemelli, né rischia di implodere su se stessa schiacciata dal peso dei suoi troppi talenti. La WWE aggiusta continuamente il tiro, cercando di trovare la politica che meglio le si adatti. Sicuramente i cambiamenti continueranno, solo che ce ne accorgeremo pian piano, come succede spesso. Sarà interessante arrivare alla Royal Rumble del 2022 e scoprire quali nuovi scenari ci riserverà.
Fino ad allora, keep calm and don’t panic.