Extreme Rules è stato un discreto ppv. Qualche caduta di stile, qualche bel racconto, però con una linearità carina in pieno stile WWE. Non ci si può lamentare no? E invece… quello spettacolo tradisce una certa falsità nel nome, un certo tradimento del concetto di extreme e di rules. Dove le regole non sono affatto estreme e non lo sono da anni, ma la compagnia do Stamford si ostina a mantenere un concetto avulso dal proprio prodotto.

Extreme Rules è stato un ppv volto a far vendere qualche nuovo abbonamento al Network ma con poca convinzione. La realtà della WWE è ancorata ad un concetto antiquato dove un nome di un’era passata si crede possa vendere da solo uno spettacolo, al di là di quel che poi accadrà. Sono lontani i tempi della Attitude, lontani i tempi dei colpi con vari oggetti, tavoli e scale e sedie, bladejob e stipulazioni sempre più strane ed efficaci. I tempi sono cambiati, non vi è nulla di male. Ed è cambiata la WWE, forse troppo da dimenticare cosa è stata e come stupire i propri fans. E se pensate che questo ppv sia stato il viatico per alcuni atleti (vedi alla voce Samoa Joe) siete fuori strada, visto che nulla ha portato a sfruttare il senso del ppv. Ci si aspettano dei match che sembrino pericolosi, con stipulazioni audaci e delle superstar tirate in lungo e in largo per andare oltre i propri limiti. In realtà gli atleti non sono andati oltre le proprie storie, le proprie gimmick, i propri triangoli, le proprie connessioni derivanti da Raw.

Oggi Extreme Rules fallisce perché un suo utilizzo significherebbe massimizzare i personaggi, creando uno spettacolo che ricordi i fasti della ECW o della Attitude Era. Andare oltre il limite significherebbe spaventare i bambini, significherebbe attirare un pubblico via via diventato occasionale, volatile, in grado di esserci e non esserci a seconda di come escano le card, i match e le storie. I bambini invece sono fedeli, le famiglie ci sono sempre e pagano, seguono, si divertono. La WWE segue un proprio business plan, ma Extreme Rules non ha avuto nulla che fosse minimamente vicino all’estremo. Persino lo steel cage match ha avuto sì diversi spot ma è stato un semplice match classico degli Hardyz senza molto hardcore, ma una versione annacquata di esso. Una versione gentile, tranquilla per i wrestler e per il pubblico.

Oggi Extreme Rules fallisce perché si presenta come “la più estrema notte dell’anno” e invece nulla accade. E allora perché non cancellarlo per dar spazio ad un altro nome ed egual spettacolo? Magari limitando i match hardcore propriamente detti, rendendoli degli unicum senza legami, speciali senza la specialità di un nome. Così eviteremo di avere dei Neville vs Aries in un submission match quando invece ci sarebbe stato meglio un ladder (e il pubblico lo ha fatto capire), o il flop assurdo del kendo on a pole, o un inutile mixed tag team match di ballerini, o un main event che non rispecchia nulla del ppv in essere pur con tutta la buona qualità espressa anche con qualche azione “hardcore”.

Tagliare Extreme Rules. Ma anche TLC ed Hell In a Cell, in modo da definire al meglio il passo tenuto fin qui dalla WWE visto che lo spettacolo non è stato male. Ma non deve tenersi con quel nome lì, non deve creare confusione né deve prendere in giro chi si aspetta una cosa e se ne trova un’altra: come aspettarsi Berlinguer e trovarsi Renzi, aspettarsi qualcosa di ben definito e ritornare a casa con una impronta che non è la propria, fatta di altri ideali magari al passo coi tempi, ma che in quei tempi non fanno ancora la differenza, non provocano shock e ulteriore seguito.

Giornalista professionista ed esperto di comunicazione, dal dicembre del 2006 è redattore di Zona Wrestling. Negli anni è stato autore di rubriche di successo come il Pick The Speak, Wrestling Superstars, The Corey Side, Giro d'Italia tra le fed italiane, Uno sguardo in Italia, Coppa dei Campioni, Indy City Beatdown e tante altre. Il primo giornalista in Italia ad aver parlato diffusamente di TNA ed AEW su un sito italiano di wrestling.