Il ritorno in pompa magna di un evento storico, quale Bad Blood, ha mostrato quanto questa WWE sia capace di show sublimi. Questa nuova versione della Compagnia è diventata qualcos’altro, al di là del semplice pro-wrestling. In azienda miliardaria capace di creare storie, esplicitate settimanalmente nei suoi show, magnificate da una regia alle volte degna dei migliori film di Hollywood. Non siamo ancora al cinema, e forse non lo saremo mai (per fortuna). Ma i racconti che la WWE ci propone sono all’altezza di qualsiasi serie tv “mangiasoldi” pubblicizzate sulle varie piattaforme di streaming. Sia per qualità che per effetti scenici. La tendenza di creare storie a lungo termine, tuttavia, non è mai stata una prerogativa della “vecchia” gestione, quanto più della “nuova”. E a fungere da apripista a questa nuova moda è stata di sicuro la storia della Bloodline, che proprio a Bad Blood ha visto aggiungere un altro capitolo alla sua saga, che dura ormai dall’estate del 2020.
Nel Main Event del PLE, una rappresentanza della sopracitata stable (ossia Jacob Fatu e Solo Sikoa), hanno affrontato l’improvvisato duo Cody\Roman, scesi a patti dopo aver individuato nella Bloodline 2.0 il nemico comune. Il match, nonostante chiudesse l’evento e fosse un ricalco di incontri passati, si è rivelato più “concentrato” e dinamico. Determinante per la vittoria dei buoni il rientro di Jimmy Uso, assente da diverso tempo. A fine match, come se non bastasse, è arrivato anche The Rock, con dei gesti alquanto criptici che, siamo sicuri, verranno spiegati col passare delle settimane. Due attesi ritorni che hanno saputo aggiungere la ciliegina sulla torta in uno show che, da solo, è riuscito a soddisfare le aspettative. Quindi mi dissocio dai commenti impietosi che molti hanno rivolto a questo o a quel particolare, e da alcuni giudizi troppo grevi sull’intero evento. Per me è stato godibile, a tratti epico, e mai noioso. Certo è che, se ci si impegna, si possono trovare difetti anche nel dipinto della Monna Lisa. Figuriamoci in un evento WWE…
A voler essere pignoli, non mi è piaciuta, più che il suo apparire, l’idea dietro la presenza di Goldberg all’evento. Ciò più per antipatie personali che per altro. Non mi convince l’idea di vederlo lottare ancora una volta, né la maggior parte delle sue dichiarazioni. Tuttavia, se la maggioranza vuole questo, mi acquieto e resto a guardare. Ma ciò non vale un giudizio negativo sull’evento. E neppure lo vale l’esito del match tra Rhea e Liv (finito in squalifica dopo l’intervento della Rodriguez). La contesa è stata divertente e molto ben interpretata dai partecipanti, tale che l’esito è stato del tutto ininfluente. E, esclusa la perla dell’Hell in a Cell, gli altri match nella card hanno adempiuto onorevolmente al loro compito. Non certo una card da “show settimanale” quindi (come scritto da alcuni), e neppure uno spreco di opportunità (come detto da altri). Uno show che ci dimostra quanto si sia alzata l’asticella in casa WWE, e quanto debba essere benedetto da tutti noi questo cambio di rotta. Unica nota stonata, a parere mio, è l’ammassare tanti colpi di scena in un unica serata; Si può “diluire” il brodo, garantendosi di che produrre per i prossimi mesi. Ma resta che non sappiamo la mole di impegni dei singoli protagonisti, e quanto si concilino con i progetti della Compagnia. Fatto sta che, per quanto ci si sforzi di trovare difetti in questa storia dei samoani, che per molti ha “monopolizzato” l’intera produzione creativa della Federazione, dobbiamo ammettere che serve al suo scopo: Finché abbiamo voglia di vedere chi altri si aggiungerà alla carovana degli Anoa’i, e finché guarderemo gli show per vedere se le nostre predizioni verranno soddisfatte, e resteremo sintonizzati a guardare gli show, la WWE ha vinto. E con un margine di vantaggio rispetto alle altre Compagnie immenso.