Dopo 10 anni di assenza e dopo averne detto di tutti i colori sulla famiglia McMahon, CM Punk è tornato in WWE. Ma il suo ritorno spaventa più che entusiasma, perché se è vero che a Stamford lo si è visto per la prima volta dal 2014 solo domenica notte, l’atleta è ritornato al wrestling già qualche anno fa in AEW. È lì ha lasciato in questi due anni di permanenza un ricordo piuttosto brutto di sé stesso, fatto di risse nel backstage, accuse pubbliche e frecciatine al cianuro lanciate a tutto campo, a chiunque. Il suo ritorno al Wrestling passa come una pagina buia nella sua carriera, e la colpa è soprattutto la sua, incapace com’è delle mezze misure e di mediare negli scontri. Per lui, ogni pretesto è buono per lanciare una crociata.

Punk è diventato quindi una sorta di Re Mida al contrario. La nomea di Compagnia priva di un management rigido e di direttive ben chiare che la AEW si porta dietro è il risultato delle sue resse con gli altri atleti. Le sue intemperanze hanno intaccato inevitabilmente l’immagine della AEW. Ed ora torna in pompa magna in WWE, dove forse le regole sono più ferree, e dove lui potrà prendersi meno libertà di quelle prese in AEW. O questo è quello che spero. Purtroppo però non ho più fiducia nella sua professionalità, e temo che anche a Stamford (dove peraltro in molti sono apertamente contrari alla sua presenza) darà motivo di farsi odiare.

Sicuramente dietro il suo ingaggio c’è il gruppo TKO con i suoi miliardi nel portafoglio. La sua assunzione, più che da un reale bisogno, è figlia del desiderio di avere ulteriore starpower nei programmi settimanali, e forse anche di una volontà di rubare la scena alla concorrenza. Però, in un contesto come quello odierno dove si è raggiunto a fatica un equilibrio (dopo i vari pensionamenti di leggende e il decesso di Wyatt), una mina vagante come Punk può rappresentare un elemento di disturbo. Se però Punk dovesse comportarsi “bene”, senza discutere con nessuno e senza fare inutili clamori, allora stimolerebbe un pericoloso pensiero nella mente dei fan, e cioè che il problema non è stato lui in passato, ma la federazione che lo ha ospitato.