Sasha piange, si lamenta, rifiuta di apparire. Sasha minaccia di andarsene, tira con sé l’amica Bayley. È ritornata ad essere una malpancista, esattamente come fece a gennaio dopo aver perso con Ronda Rousey a Royal Rumble e aver fatto intendere una simpatia per la AEW. Vuole andarsene, molto probabilmente. Che se ne vada.

La WWE non ha bisogno di lei. In generale non ha bisogno di correre dietro i wrestler, trattenerli a forza, dargli un regno titolato o più soldi. Deve crederci, nei wrestler. Deve avere dei programmi per loro ed essere sincera. Se va bene, bene; se non va bene, quella è la porta. Non sarà una Sasha Banks a rendere più povera la compagnia più grossa al mondo.

La realtà dei McMahon è come la Champions League: tutti concorrono, spendono tempo e talento, ma solo due arrivano in finale e solo uno vince. Nella categoria femminile il top player è Charlotte e lo è con cognizione di causa. Sasha è una buona interprete, ma è chiaro che non viene ritenuta qualcosa di più. È come un Liverpool o un Atletico Madrid, ma alla fine le squadre veramente forti che vincono sono altre.

Ma, soprattutto, la WWE è un brand che ha dimostrato negli anni di poter fare a meno di tante interpreti. Ha perduto Trish Stratus e Lita, che a suo tempo erano imprescindibili. Ha dovuto attendere qualche anno per ottenere una parvenza di rivoluzione femminile, e ha trovato quello che cercava. Anche meglio del passato, con match di reale valore.

La Banks non è una wrestler indispensabile, non lo è da tempo. Che vada pure, ne beneficeranno entrambi: la WWE darà spazio a qualcun altra e avrà una rogna in meno; la ragazza andrà da qualche altra parte dove, magari, otterrà ciò che desidera. O forse no.