Da qualche mese regna come campione intercontinentale a Smackdown un lottatore austriaco, Gunther. Avanza incontrastato per la sua strada, accompagnato da due proseliti, Giovanni Vinci (di chiare origini italiane) e Ludwig Kaiser, e tutti e tre formano la stable italo-tedesca-austriaca di nome Imperium. Ovviamente il gruppo nasce come “supporto” al lottatore viennese, quindi i personaggi sono poco sviluppati e approfonditi, però nonostante tutto già si staglia come minaccia incombente nello show blu. Ad onor del vero Gunther si serve poco dei due fedelissimi, e spesso i match li vince in maniera pulita, tanto che è assurto ad un grado di “credibilità” del tutto inaspettato in poco tempo.

Per chi come me non ha potuto apprezzarlo ad NXT, o peggio ancora nei circuiti indipendenti, il campione intercontinentale si presentava sulla rampa del Main Roster come il classico algido lottatore filotedesco, poche chiacchiere e tante botte. Un cliché della WWE, utilizzato più volte in passato, sopratutto con i Wrestler non nati su suolo Americano che, per ragioni meramente culturali, non erano protagonisti di grandi segmenti al microfono, e che si distinguevano dal resto del roster per la loro “freddezza” e la loro fisicità. Tuttavia, seppur all’inizio Gunther è sembrato uno dei tanti, il lottatore è riuscito a sorprendere (e sorprendermi) portando sul ring qualcosa di leggermente “diverso” rispetto al passato: la credibilità. Io parlo spesso di questo fattore, e può risultare alle volte inflazionato, però per me è di natura vitale perché un wrestler mi possa o no piacere. E sono sicuro che, infondo infondo, è un parametro che adottano in tantissimi.

Il fattore “credibilità” è quella variabile che identifica il grado di “realismo” che una personalità, un segmento al microfono o un match sono in grado di trasmettere al pubblico. Scontato il paradosso che il Wrestling è un connubio tra recitazione e sport, la percezione che un determinato momento sia “reale” (che quella manovra faccia male per davvero, o che quel lottatore odi davvero quell’altro, ecc ecc…) è ciò che alla fine della fiera tutti i fan di wrestling cercano in uno spettacolo come questo. C’è chi la chiama sospensione della incredulità, chi la chiama intrattenimento, chi “realismo” del prodotto. Gunther è, nello specifico, la quintessenza della credibilità.

A mio parere il suo match con Sheamus è candidato a “Match of the year”. Senza abbandonarmi ad un profluvio di commenti positivi sulla contesa, peraltro abbondantemente elogiata già da tutti i siti di settore, dico che guardare quel match è stato come guardare un match di MMA. Come spesso mi capita quando guardo match fisici, ben “ragionati” e che seguono una linea psicologica spesso troppo trascurata da altri, in cui uno dei due coinvolti è il lottatore austriaco. La sua personalità di cinico calcolatore, incapace di provare sentimento alcuno (neppure per i suoi sodali che spesso bistratta con violenza) fanno da cornice ad uno stile di lotta puro e “crudo”. Come farebbe, per l’appunto, un “vero” lottatore austriaco impegnato in una contesa di arti marziali. Se a tutto ciò aggiungi una tipologia di lottatore che mi ricorda le vecchie glorie della NWA per stile di lotta e ring attire, allora non posso che apprezzare l’attuale campione intercontinentale. C’è chi sostiene che sia anacronistico. Io dico che, talvolta, “old is gold”.