Il ritorno della Ring Of Honor è stato certamente un affare per Tony Khan. Tutti gli eventi a pagamento prodotti finora si sono rivelati un successo di pubblico e consensi, così da confermare la bontà dell’investimento. E qui ci fermiamo a singoli eventi speciali. Quando si parla della gestione complessiva, allora escono dal tappeto tutti i problemi. Quelli che a mio avviso non combaciano né con la storia della compagnia e né con le aspirazioni del fan più “hardcore”, che segue le gesta rossonere sin dagli esordi.
Ammetto di non capire quale sia la direzione che la Ring Of Honor vuol prendere. O meglio, la vedo, ma non vorrei fosse quella. Perché ogni maledetto giovedì ci troviamo di fronte ad una versione rivisitata di Dark o Dark Elevation: tanti match, minutaggi bassi, ricorso costante agli squash o semi squash, incontri a più coppie con atleti che vengono messi assieme totalmente a caso.
Tra storyline che zoppicano o sono inesistenti, manca una vera e propria caratteristica che convinca a seguire gli show al di là dei singoli match. Non aiuta il non avere un roster fisso, visto che tanti atleti saltano da Dynamite a Rampage, da Rampage alla Ring Of Honor senza soluzione di continuità, togliendo di fatto una “specialità” sia ai wrestler che agli incontri. Se Cesaro è un membro di peso del BCC a Dynamite, sarà impossibile che possa anche solo perdere nello show meno importante dove è anche campione. Senza un briciolo di sospensione, è difficile affezionarsi al prodotto.
Ad oggi, gli spettacoli della ROH non sono altro che un parcheggio come lo era Dark Elevation. Belli alcuni match, ma passa tutto via come il vento. Tornare alla formula dell’ora di puntata con 3/4 match e un lavoro certosino sul roster, ben definito, ben rappresentato, aiuterebbe certamente a non vedere tutto come un prodotto di serie B o C.
La Ring Of Honor deve sganciarsi dall’essere una copia carbone di cose già viste in AEW e riappropriarsi delle proprie peculiarità.